“Le persone hanno dei bisogni e io col mio lavoro mi impegno per soddisfarli“. Mi piace citare le parole di Denise Bonapace, la poliedrica creativa che è stata nostra ospite a febbraio scorso e che vede la moda come un ‘servizio’ alle persone intese come “insieme di fisicità, pensieri, impulsi e desideri“. Tutto ciò per creare un rapporto costante tra l’abito e il corpo che lo abita, un corpo che non deve avere più canoni ne misure, perché la bellezza è, come scriveva Eco, politeistica.
Dell’abito inteso come casa che ospita un determinato corpo plasmandosi su di esso in base alle sue necessità, ne abbiamo parlato anche recensendo il libro ‘Ri-vestire’ di Cristiano Toraldo di Francia e con il post di oggi riprendiamo idealmente il discorso parlando del bel documentario di Denise Bonapace che ha un titolo simbolico e significativo: ‘Vestimenta, abiti abitati’.
Inserito e proiettato nella selezione ufficiale di diverse rassegne internazionali, tra cui il ‘Fashion Film Festival Chigago’ e l”Artfools-EcoFashion Film Festival’ di Larissa, in Grecia e presente anche al Sarajevo Fashion Film Festival che si terrà dall’1 dicembre prossimo, ‘Vestimenta, abiti abitati’ è un cortometraggio che parla del significato culturale e sociale dell’abito che, strutturato come un linguaggio, racconta della nostra personalità, dei nostri atteggiamenti e modi di essere.
“L’abito è il primo oggetto che sta intorno al corpo e in quanto tale progettabile” dice Denise Bonapace introducendo il proprio documentario “ha un significato sia sociale sia culturale, attraverso l’abito noi parliamo di noi stessi e quando un designer sceglie un tessuto, un filato, un taglio, un volume, mette in scena il corpo sociale e culturale, tanto quanto uno scrittore sceglie le parole per scrivere un romanzo”.
L’ultima collezione di Denise affronta proprio la tematica del dialogo, quello che si instaura tra chi indossa un determinato capo e il capo stesso; si tratta di sei pezzi, ‘Dialoghi d’amore’, che avevamo in parte già illustrato nell’articolo di cui parlavo all’inizio, ispirati a un’immagine dell’artista brasiliana Ligya Clark chiamata ‘Hand Dialogue’ ovvero una fascia elastica che due persone usano per collegare le loro mani in un dialogo tattile. Ecco così che un cardigan zippato presenta un nastro sul polso che può essere indossato come bracciale o per legare la mano di un’altra persona.
In ‘Arms dialogue’ invece una manica s’allunga attraverso un inserto a contrasto andando incontro all’altra, mentre ‘Minds dialogue’ detto anche ‘Bacio’ sono due capi uniti da una zip intorno al collo che possono vivere separatamente o insieme.
Si tratta insomma di capi modellabili sul corpo e intorno al corpo, involucri materici che assumono quasi un’esistenza propria quando oltrepassano il ‘sistema’ corpo-abito e si proiettano verso l’esterno instaurando naturalmente (e culturalmente) un dialogo e quindi un rapporto, non solo col corpo che abitano ma anche con il mondo esterno e altre persone.
E a proposito di dialoghi, Denise Bonapace ha poi uno scambio interessante con Benedetta Barzini che, diretta e ironica, riflette sulla moda di oggi, una moda in un certo senso ‘disperata’, in cui il corpo della donna è ancora imprigionato in stereotipi che fanno di lei non più di ‘un oggetto di bellezza’. Da qui la considerazione della Bonapace su una moda costruita per corpi standardizzati, mentre sappiamo bene che i corpi sono tanti, con proporzioni e forme diverse. Che bella sfida sarebbe per un designer poter progettare su corpi veri e diversi, quindi poter davvero sperimentare nuovi tagli e forme!
Ancora una considerazione della Barzini su tante donne designer che progettano con la mentalità maschile ovvero sul ‘rendere sexy’ piuttosto che comoda, a proprio agio. Insomma, tante evoluzioni e cambiamenti nel costume ma certi stereotipi sono duri a morire!
Significativo anche il discorso di Denise Bonapace sul ruolo dell’etichetta, il “rifiuto per antonomasia dell’abito” perché non può essere recuperato; avendo collaborato per anni con Conau, il Consorzio Nazionale Abiti e Accessori Usati, e girato varie aziende dove gli abiti vengono raccolti per essere rigenerati, Denise nota una montagna di etichette messe in un angolo. Da qui nasce l’idea di un abito, ‘Label’, alto 3 metri, realizzato a oggi con circa 1500 etichette; l’intento è quello di condividere e riflettere intorno al valore dell’etichetta, un oggetto tanto importante per ciò che comunica, quanto inutile visto in un’ottica di prodotto.
‘Vestimenta, abiti abitati’ condensa in 12 minuti scarsi un’importante riflessione sulla moda nei suoi significati più profondi e reconditi, significati che vanno ben oltre l’estetica e toccano aspetti sociali, filosofici, semantici e culturali. Non solo; ci fa capire quanto il corpo femminile sia ancora imprigionato in cliché che sacrificano la sostanza a favore di una forma lontana dalla realtà, confinata ai diktat della giovinezza, della magrezza, dell’altezza.
‘Vestimenta’ è anche una sfida, perché no, a questi stereotipi, un richiamo al coraggio di andare oltre, indagando le tante fisicità e i tanti pensieri del genere umano.
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Cortometraggio di Denise Bonapace
Con la partecipazione di Benedetta Barzini
Produzione DESIGNinVIDEO
Direzione, fotografia e montaggio Emilio Tremolada
Contenuti Denise Bonapace
“Dialogues” video crediti Pierluigi Anselmi
“Label” foto crediti Lorenza Davvero