Anche se la Fashion Revolution raggiunge il proprio apice nell’ultima settimana di aprile, il movimento opera tutto l’anno per difendere i diritti dei lavoratori del tessile e diffondere pratiche di moda sostenibile, cui sono legati gli slogan che ormai conosciamo bene, come #whomademyclothes e #imadeyourclothes.
Recentemente se ne è aggiunto un altro che avevo segnalato a ridosso dell’ultima Fashion Revolution, #whomademyfabric e #imadeyourfabric, una domanda e una dichiarazione che vanno oltre la produzione del capo per risalire all’origine dei tessuti e ancora prima ai materiali con cui sono stati realizzati e soprattutto a chi li ha lavorati.
A questo proposito Fashion Revolution, con l’aiuto di organizzazioni che si trovano nel Tamil Nadu, stato nel sud dell’India che risulta essere il più grande produttore indiano di filati di cotone, con i suoi oltre duemila stabilimenti che impiegano 280.000 lavoratori, ha condotto un’indagine per capire non solo le condizioni degli stessi ma anche la loro opinione sul lavoro svolto e sui cambiamenti che vorrebbero avvenissero.
Infatti la forza lavoro, perlopiù giovane e femminile, si trova ad affrontare problemi come salari inferiori al minimo sindacale, molestie sessuali, straordinari eccessivi e condizioni pericolose; ciò nonostante molti hanno comunque affermato di amare il proprio lavoro e di esserne orgogliosi.
Ma ecco alcune delle testimonianze raccolte (naturalmente tutti lavorano per marchi di moda occidentali):
“Lavoro in una filatura privata che produce filati per le vostre camicie, situata nel distretto di Virudhunagar nel Tamil Nadu, India, da più di 10 anni e a oggi non sono molto in salute. La maggior parte dei miei guadagni la spendo in medicinali e cure mediche, questo perché il nostro ambiente di lavoro non è pulito e i DPI non ci sono forniti correttamente. Vorrei un ambiente di lavoro sano per me e per i miei colleghi”. (Shenbagam)
“Sono Amsaveni e vivo nel distretto di Coimbatore nel Tamil Nadu, in India. Ho lavorato in un’unità di telaio elettrico come aiutante. Il problema principale che dovevo affrontare era l’enorme calore della macchina, che mi ha fatta ammalare. Chiedo che l’industria della moda ci sostenga per portare un cambiamento nelle nostre condizioni di lavoro”. (Amsaveni)
“Mi chiamo Eswari e sono di West Brooke, Kotagiri, nel distretto di Nilgiris, Tamil Nadu, India. Ho lavorato in un’industria tessile nel distretto di Coimbatore come supervisore di linea. Sul posto di lavoro mi sentivo al sicuro e anche in ostello, ma non ho potuto ottenere un congedo nemmeno nei giorni festivi perché la procedura è stata complicata. Inoltre abbiamo ricevuto uno stipendio molto basso e non abbiamo potuto accedere all’assicurazione e agli altri benefit. I marchi di moda dovrebbero affrontare questioni come salari, congedi e prestazioni sociali delle lavoratrici”. (Eswari)
“Stiamo lavorando in una filatura situata nel distretto di Erode. Ci piace il nostro lavoro, ma a causa della mancanza di manutenzione delle macchine e del carico di lavoro, i nostri lavoratori hanno avuto spesso incidenti, mai coperti da assicurazione. Vogliamo cambiare la situazione chiedendo ai marchi di moda di migliorare le nostre condizioni di lavoro”. (Monika, Jayanthi and Sarathnizha)
Come avrete letto queste donne non si lamentano del lavoro in sé, che anzi amano e di cui vanno fiere ma di tutto il resto, cose da noi piuttosto scontate (poi non sempre, lo sappiamo bene) ma che da loro sembrano traguardi ardui da raggiungere.
Se i marchi di moda volessero davvero intraprendere un percorso verso la vera sostenibilità, è a questo che dovrebbero pensare, alle condizioni dei propri lavoratori, a garantirgli salari equi, sicurezza, riposo, rispetto. Non si può prescindere da questo, dall’elemento umano e nessun marchio potrà definirsi etico finché non avrà tenuto conto dell’aspetto sociale della propria catena produttiva.
Il resto delle testimonianze delle lavoratrici e dei lavoratori del Tamil Nadu le trovate a questo link, io ho voluto giusto darvi il la, perché sono argomenti che non possono e non devono passare in secondo piano. Mai.
Testo e immagini courtesy fashionrevolution.org