Solari, comprare (eticamente) italiano

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Due anni fa abbondanti, a fine pandemia, pubblicai un pezzo sulla chiusura di Beyond Skin, brand inglese di calzature vegan. Si trattava più che altro di una riflessione sul perché un marchio pioniere del lusso sostenibile avesse dovuto chiudere i battenti dopo ben 20 anni di onorata carriera, al contrario delle firme del lusso tradizionale che, per fatturato, nello stesso periodo, avevano battuto le loro stesse aspettative di risultati.

È da questa riflessione che io e Niccolò Amati, titolare del brand di scarpe vegane Solari Milano, siamo partiti per un vivace scambio di opinioni e informazioni, in video-call, sul mondo della calzatura sostenibile, scambio che si è poi trasformato in questo articolo dedicato appunto alla sua attività famigliare, che io definisco coraggiosa, e uno dei motivi l’ho addotto in apertura.

Uno dei modelli Solari Milano

In un mercato in cui, tra marchi del lusso mainstream e fast fashion selvaggio, pare sia ancora difficile per un marchio di scarpe vegane posizionarsi, da cosa e come è nata la necessità di creare una calzatura cruelty-free, sostenibile, fatta in Italia?

Niccolò: “Qualche anno fa lavoravo per una banca giapponese a Londra; avevo l’esigenza di vestirmi quotidianamente in modo formale ma l’idea di utilizzare scarpe in pelle non mi piaceva molto e poi non trovavo calzature vegane di mio gusto, così ho provato a produrmele da solo. Ho fatto una ricerca di mercato e mi sono poi appoggiato a un consulente/modellista di scarpe in Toscana, che mi ha aiutato a trovare fornitori e una catena di produzione efficiente.

Abbiamo iniziato con 100 paia in 3 modelli di colore nero da uomo (mocassino, francesina e francesina brogue) e piano piano abbiamo introdotto nuovi colori, modelli e la linea donna. Ora abbiamo in mente di introdurre nuovi accessori, tutti chiaramente made in Italy, che è il nostro marchio di fabbrica, in catene di produzione controllate”.

Francesina donna nera by Solari Milano

Produzione limitata e ‘lentezza’, si potrebbe parlare di “visione oculata”. Ma perché in questo settore, che comunque tira sempre di più, bisogna andarci coi piedi di piombo? È stato uno degli argomenti della nostra video-call e qui Niccolò lo riassume così.

Tutto ciò che è ‘vegano’, è in forte crescita, ma ancora di nicchia. Purtroppo a dividersi la torta ci sono moltissimi produttori, tra cui la fast fashion, che cavalca l’onda, pur non essendo interessata ai valori legati al settore. Aggiungiamo il fatto che spesso i prodotti vegani non sono di alta qualità o durevoli e che una parte dei consumatori vegani/vegetariani preferisce acquistare articoli di seconda mano in pelle, quindi in un simile panorama, pochi brand riescono a sopravvivere.

Francesina donna marrone Solari

Inoltre realizzare un prodotto vegano di qualità è difficile, di conseguenza è complicato anche avere, in partenza, una linea ampia di offerta prodotti. Così è successo che nel tempo molti brand vegani siano nati e morti nel giro di un paio d’anni, non riuscendo a crearsi un giro tale da rimanere profittevoli. Il discorso è simile anche per gli store vegani, che hanno sofferto per la concorrenza dell’online e poi del Covid.

Un problema comune, invece, ai brand vegani di scarpe è la necessità di avere un magazzino molto ampio. Questo perché la numerata di una scarpa da adulto può andare anche dal 35 al 46/47 (senza contare i mezzi numeri) e gli ordini non sono regolari ma incentrati su alcuni numeri. È quindi necessario disporre di un magazzino vastissimo e continuare a investire soldi; basti pensare che, se si produce per esempio una scarpa con numerazione 35-46 in più colori, concentrandosi maggiormente sui numeri più venduti, si può arrivare come niente a 40-50 paia (stando strettissimi). Il problema successivo è il riordino, perché magari si esaurisce un numero specifico ma è difficile trovare fornitori che producano soltanto quello, avendo loro stessi dei costi da sostenere, anche solo per accendere i macchinari e portarli a temperatura”.

La modella indossa un paio di sneaker Solari

Non poche le difficoltà, dunque, ma Solari Milano, che è partito nel 2020, quindi in piena pandemia, funziona e il punto di forza è sicuramente “fare le cose molto con calma“, continua Niccolò.

Siamo riusciti a fare tutto senza finanziamenti esterni, con una visione oculata (quella di cui parlavamo prima). Dai 3 modelli iniziali in 1 colore per un totale di 100 paia, oggi abbiamo 10 modelli in 2 colori + 1 kit di pulizia, un accessorio e una nuova scarpa in produzione e un magazzino intorno alle 800 paia in continua crescita. Vendiamo solo online perché un negozio al momento sarebbe molto dispendioso, anche se ci appoggiamo a punti vendita esterni. Per gli shooting usiamo un fotografo professionista, che ormai è diventato amico, come amici sono i modelli; anche il sito internet e la SEO ce li siamo fatti da noi, mentre la produzione è in conto-lavorazione, cioè paghiamo al paio. Non avendo dipendenti nostri, ma solo consulenti esterni a partita Iva, possiamo gestirci i costi in modo flessibile, adattandoci alle esigenze nel mercato. Questo ci ha permesso di crescere e sopravvivere in un mondo dove è molto difficile partire”.

E queste calzature vegan ben ponderate, di cosa sono fatte? La tomaia e la fodera di quelle formali sono per il 63% di spalmati a base bio derivata da mais o bambù, mentre la tomaia delle sneaker è di canapa proveniente dalla Spagna, l’unico materiale non made in Italy di tutta la catena di produzione. Le suole in gomma hanno una componente riciclata di circa il 40% (Niccolò mi dice che stanno cercando suole con una componente di riciclo più alta, ma perderebbero in performance e quindi in durevolezza). Per contrafforti, puntali, solette i materiali sono a base di cartone, per le stringhe sono per lo più di cotone organico.

Le calzature Solari Milano: artigianato e natura

Niccolò tiene a precisare che tutti i materiali, esclusi fodera e tomaia, sono marchigiani (le Marche, sede del nostro blog!), dove avviene anche la produzione dei prodotti Solari: “Questo perché cerchiamo di ridurre l’impatto ambientale, soprattutto legato al trasporto, perché vogliamo avere un controllo superiore della catena di montaggio e poter supervisionare i nostri fornitori e perché è semplicemente più comodo avere tutto l’indotto vicino”.

Tutti i materiali alternativi alla pelle, al momento presenti sul mercato, sono stati provati e testati dall’azienda: dal cactus alla mela, dal vino all’ananas e la ricerca di nuovi è incessante. A essi si aggiunge il micelio, derivato dai funghi, che in futuro vorrebbero utilizzare perché non contenente plastica; al momento materiali di questo tipo sono ancora poco reperibili per una mancanza di capacità produttiva, oltre a non essere adatti a tutti i tipi di prodotti.

Dopo questo racconto, mi viene spontanea una considerazione: ci sono i brand del lusso (italiani) che, pur con fatturati milionari, continuano a delocalizzare, sfruttare spesso la manodopera e a non sperimentare materiali meno impattanti. E poi ci sono marchi come Solari che, con “una visione oculata”, 100% made in Italy, rappresentano i valori di una produzione etica, secondo gli standard della calzatura e nel rispetto delle persone.

Tutte le immagini sono courtesy Alessandro Paci

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