Il 23 aprile scorso si è tenuto l’evento Luxury Summit 2024, appuntamento del Sole 24 Ore con il settore del lusso, intitolato ‘Formazione e sostenibilità 4.0‘.
Non ho potuto seguire la diretta per altri impegni ma mi sono letta le dichiarazioni di alcuni dei relatori, come il presidente della Camera Nazionale della Moda Italiana Carlo Capasa, il presidente di Sistema Moda Italia Sergio Tamborini e Diego Della Valle, presidente e amministratore delegato di Tod’s.
Il primo, Carlo Capasa, ha sostenuto che “i consumatori del lusso aumenteranno, sia in Italia che nel mondo“, quindi “c’è bisogno di lavoro“, “bisogna attrarre i giovani“, perciò “bisogna agire sull’innovazione, sulla formazione ma soprattutto offrire loro qualcosa di più“. Ma soprattutto “pagarli di più“.
Sergio Tamborini ha dichiarato che “la filiera del tessile e moda deve diventare un po’ più ‘sexy’ per le nuove generazioni altrimenti ci ritroviamo, non solo un paese, ma anche una filiera di vecchi“. Il rischio è che “qualcun altro, che ha il lusso ma non ha la manifattura, venga a prendere dei pezzi interi o, peggio, imiti quello che abbiamo e tenti di costruirlo nel proprio paese“.
Per Diego Della Valle “serve creare e sostenere gli artigiani“; “l’artigianato va assolutamente supportato”, perché “la qualità del made in Italy, che vogliamo divulgare nel mondo, passa attraverso l’artigianato”. “Oggi l’artigiano è merce rara. Possiamo aprire negozi in tutto il mondo, ma poi nelle fabbriche dobbiamo metterci le persone“. E poi ha aggiunto che “un altro aspetto da non sottovalutare: credo che non si possa pensare di essere ambasciatori del Made in Italy se poi le persone che lavorano nelle nostre aziende non hanno una qualità della vita accettabile e condizioni lavorative adeguate. Su questo fronte noi siamo in prima fila“.
Ho voluto concentrarmi su queste tre dichiarazioni considerandole dal punto di vista della sostenibilità, che poi è uno degli aspetti su cui si è concentrato il Summit e su queste faccio delle riflessioni che voglio condividere con voi, per capire se sono solo io che ho l’impressione che ci stiano tutti, o almeno i vertici del settore, prendendo in giro, in primis tirando fuori discorsi triti e ritriti, che sentiamo fare da anni, ma cui non seguono fatti concreti e poi facendo dichiarazioni incomprensibili o poco veritiere su questo famoso ‘made in Italy’ che di ‘Italy’ ha ormai ben poco.
Capasa sostiene che i consumatori del lusso aumenteranno; certo, perché aumenterà il divario tra ricchi e poveri, i ricchi saranno sempre più ricchi e andranno a spendere sempre di più ma non so se a questo aumento di ricchezza e di potere d’acquisto si affiancherà un’altrettanta volontà di voler capire e chiedere maggiore responsabilità ai brand del lusso, dato che non è accaduto finora.
Prendiamo il ‘caso Armani’. L’ultima classifica di Forbes l’ha messo al secondo posto come persona più ricca d’Italia (Prada all’ottavo) ma è solo di poche settimane fa la notizia del commissariamento della Giorgio Armani Operations per caporalato e sfruttamento della manodopera. Senza parlare poi dei prezzi ‘gonfiati’, 1800€ per una borsa che ha un costo di produzione di 93€. Perché nessuno parla di queste cose? Perché questi ‘grandi capi’ non ammettono che non esiste un vero sistema di controllo sulla catena di produzione, che i brand fanno il bello e il cattivo tempo perché, semplicemente, se lo possono permettere? Perché ci sarà sempre qualcuno che spenderà determinate cifre per avere quel marchio nel proprio guardaroba e addosso, senza voler sapere altro.
Dovrebbero essere gli enti e le organizzazioni del settore moda a esigere dai brand questa trasparenza.
Poi, vabbè, qualcuno mi spieghi cosa significa che “la filiera del tessile e moda deve diventare un po’ più ‘sexy’“; anche messo tra virgolette quel ‘sexy’ non mi dice nulla, anzi mi suona proprio vuoto, se non sarcastico, perché alle nuove generazioni la filiera della moda potrebbe piacere anche così com’è, se solo gli si desse la possibilità di formarsi, prepararsi ed entrarci in modo scorrevole e dignitoso. Magari con una formazione sicura sul campo, con stage (ben) retribuiti, insegnando, a loro per primi, il rispetto per il lavoro proprio e degli altri.
Siccome mi sto dilungando terminerei con le parole di Diego Della Valle, colui che parla di artigianato e delle persone, che devono avere una qualità di vita accettabile e condizioni lavorative adeguate; a me risulta che l’imprenditore marchigiano (e con lui anche altri marchi italiani del lusso), pur avendo fatto molto per il suo distretto di Casette d’Ete (FM), fino a qualche tempo fa delocalizzasse una parte della produzione in Romania e, mi risulta, anche in Albania, dove le operaie lavoravano senza diritti e con stipendi da fame (ricordo una puntata di Presa Diretta della stagione ’21/’22).
Se nel frattempo le cose sono cambiate, se la produzione è rientrata interamente in Italia, nel rispetto dei diritti dei lavoratori di tutta la filiera, cercheremo di scoprirlo, intanto, però, riflettiamo su queste dichiarazioni e chiediamoci quanto vicine alla realtà siano.
Foto di Massimiliano Stucchi