Recentemente, per ‘Terra Nuova‘, il mensile con cui collaboro, ho scritto un pezzo sulla lana rigenerata prodotta nel distretto di Prato; conoscevo già la realtà del territorio e sapevo anche che quella del recupero della lana è una tradizione secolare ma le ricerche per l’articolo mi hanno dato la possibilità di approfondire, scoprendo anche la storica figura del ‘cenciaiolo’, lo straccivendolo che recupera e seleziona gli ‘stracci’, i ‘cenci’, che poi le aziende utilizzano per rigenerare e creare nuovo tessuto. Certi ‘cenciaioli’ sono diventati pure imprenditori, senza mai rinnegare il proprio passato fatto di polvere e fatica e oggi, che si sono pure meritati un monumento nel centro di Prato, si può dire che sono stati loro i primi paladini della moda green.

‘I cenciaioli rossi’

E se ho conosciuto queste fantastiche figure è anche grazie a Niccolò Cipriani, fondatore del marchio di abbigliamento e accessori ‘Rifò’ (che nel vernacolo toscano significa proprio ‘rifaccio’) , che ha fatto della lana rigenerata e soprattutto del cachemire il cavallo di battaglia della propria produzione, avviata a fine 2017.

Ho chiesto a lui di essere il primo ospite della nostra ‘Intervista del mese’ dopo la pausa estiva perché credo che la sua attività sia davvero un esempio di moda etica a tutto tondo, che tante aziende dovrebbero seguire se intenzionate a fare qualcosa di concreto, contro gli sprechi e per il Pianeta.

Allora Niccolò, come sempre quando intervisto i miei ospiti, mi piace chiedere come prima cosa il percorso fatto per arrivare a ciò che fanno attualmente e, nel tuo caso, quello che ti ha spinto a dedicarti al progetto di Rifò. Ti va di raccontare percorso e progetto?

Si, certo, volentieri. Rifò nasce dalla mia ultima esperienza di lavoro in Vietnam dove mi occupavo di progetti di cooperazione e sviluppo e dove ho realizzato con i miei occhi il problema della sovrapproduzione che grava sul settore dell’abbigliamento. Le strade di Hanoi sono piene di negozi dal nome ‘Made in Vietnam’ che vendono tutti capi di abbigliamento prodotti in Vietnam, esportati in Occidente, non venduti in Europa e rispediti in Vietnam per non abbassare i prezzi del mercato occidentale. Una volta non venduti, questi indumenti vengono direttamente gettati in discarica o in un inceneritore. Nell’industria tessile si produce molto di più di quanto venga consumato. Alla luce di queste informazioni, mi è venuto in mente di riprendere una tradizione pratese, quella del rigenerare tessuti, utilizzando gli abiti che vengono buttati via per rifarci un nuovo filato. Dopo questa esperienza in Vietnam sono tornato a Prato e mi sono fiondato a lavorare con i cenciaioli, veri maestri di questo mestiere.

I capi in cachemire rigenerato di Rifò – credits Rifò

I mitici ‘cenciaioli’! Al centro di Rifò c’è soprattutto la lana rigenerata e in particolare il cachemire. Qual è il  processo che porta a ottenere questo tipo di materiale? E da dove reperisci la ‘materia prima’?

Il processo è, ad esempio, questo: noi prendiamo dieci vecchi maglioni di cachemire color blu, li sfilacciamo, li lavoriamo fino a fare una nuova fibra di cachemire blu e con quella fibra realizziamo un nuovo filato blu, utilizzando solo scarti tessili e risparmiando sui nuovi consumi di risorse naturali. Il ciclo termina confezionando con quel filato un nuovo cappellino blu. Da un rifiuto a un nuovo prodotto, mantenendo la stessa qualità. La materia prima si reperisce dalle organizzazioni che fanno la raccolta oppure direttamente dal nostro sito web dove le persone ci possono contattare e spedire capi che vorrebbero riparare o riciclare.

La lana sfilacciata pronta per diventare nuovo filato – credits Rifò

Oltre alla lana e al cotone, utilizzi anche altri materiali riciclati? O pensi che lo farai in futuro?

Al momento no ma mi piacerebbe lavorare sulla seta e sul lino ma purtroppo essendo fibre troppo corte ci sono dei limiti tecnici, perché durante il processo di riciclo la fibra si accorcia e quindi c’è bisogno di partire da fibre molto lunghe.

Capisco. Prato è un distretto virtuoso e sarebbe bello che questo esempio venisse esportato sia in altri territori italiani sia all’estero. Tu, da imprenditore, quali pensi siano gli ostacoli che non permettono ancora questo passo importante?

Purtroppo ci sono dei limiti legislativi che portano dei problemi sulla raccolta di vecchi indumenti, considerati attualmente dalla legge come rifiuti. Al di là di questo limite tecnico, penso che Prato abbia tutte le competenze per avere una presenza forte e appetibile all’estero.

Pensi che sia possibile in futuro basare buona parte del sistema moda sul riciclo, evitando sprechi e incentivando risparmio e buone pratiche? Oppure ci sarà sempre bisogno di produrre nuove merci (intenso qui come abbigliamento)?

Si, ci credo fortemente, allo stesso tempo penso ci sarà un mix tra nuove materie cresciute in maniera organica e fibre riciclate. Penso che sia il nostro pianeta a chiedercelo e prima o poi tutte le persone realizzeranno l’impatto effettivo del fast fashion.

Speriamo che lo facciano prima che poi! E, ultima domanda, di rito: dovresti ‘nominare’ il mio prossimo ospite, chi sarà e perché?

Nomino Sara Zanella di Eticlò perché lei e Desiré le abbiamo conosciute all’inizio del nostro percorso e condividono con noi i valori di eticità e design.

Ottimo Niccolò, grazie del tuo contributo e buona rigenerazione!

Articolo precedenteOut of office (due to a climate emergency)
Articolo successivoLa sostenibilità in passerella con gli Agritessuti

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci i tuoi commenti
Inserisci qui il tuo nome