Mi sono imbattuta nell’hashtag #GoTransparent in Twitter; ammetto che non sapevo essere lo slogan di una campagna globale lanciata da Human Rights Watch e International Labour Rights Forum, due ONG internazionali che si occupano di diritti umani e dei lavoratori, insieme a Clean Clothes Campaign (in Italia Campagna Abiti Puliti), rete di più di 250 partner che mira al miglioramento delle condizioni di lavoro e al rafforzamento dei diritti dei lavoratori dell’industria della moda globale.
#GoTransparent, che si è chiusa 4 mesi fa e ha raggiunto sulla piattaforma di petizioni online change.org 70.000 firme, ha lanciato uno standard minimo di trasparenza globale per il settore dell’abbigliamento e delle calzature, convincendo 17 marchi, tra cui Adidas, G-Star RAW, Levi’s e H&M, a impegnarsi a pubblicare informazioni sulle fabbriche, compresi gli indirizzi e il numero di lavoratori, da cui provengono i loro prodotti.
In particolare, i brand nel mirino di #GoTransparent, sono: Forever 21, Urban Outfitters, Walmart, Primark e Armani, perché da sempre molto reticenti nel fornire informazioni riguardo alla propria filiera produttiva e, inoltre, restii a firmare l’impegno alla trasparenza come hanno fatto i marchi di cui sopra. Quale sia il motivo di tanta segretezza se lo chiede Ben Vanpeperstraete, coordinatore delle attività di lobby e advocacy della Clean Clothes Campaign; le aziende coinvolte non dovrebbero avere problemi a rivelare certe informazioni se non hanno niente da nascondere e soprattutto tengono alla propria clientela, continua Vanpeperstraete.
La necessità di fare maggiore chiarezza sulla provenienza dei capi venduti si è fatta sempre più pressante negli ultimi anni, dopo alcuni gravi incidenti accaduti in fabbriche tessili in Pakistan e Bangladesh, tra cui il crollo del polo produttivo Rana Plaza, il 24 aprile 2013, in cui restarono uccisi più di mille operai; per ricordare il tragico anniversario, è nato in Gran Bretagna un movimento, Fashion Revolution, diffusosi poi a livello globale, che invita i consumatori a chiedersi “chi ha fatto i miei vestiti” (#whomademyclothes”) e che si ripete annualmente ogni ultima settimana di aprile con eventi ad hoc.
Tornando alla campagna #GoTransparent (sottotitolata ‘Follow the Thread’ ovvero ‘Segui il Filo’), chiusasi la petizione, gli attivisti stanno consegnando, e continueranno a farlo per tutto il mese di gennaio, negli store dei cinque marchi reticenti sparsi nelle più importanti città europee, delle scatole dorate con le firme raccolte. Risponderanno? E come?
Resto anch’io nell’attesa e per chi volesse maggiori informazioni sulla campagna #GoTransparent e/o volesse prendervi parte consegnando il messaggio di proprio pugno, ecco il link dove scaricare i messaggi da consegnare. Così che anche voi potrete chiedere “chi ha fatto i miei vestiti?”.