FieraMilanoCity. Ci chiediamo a cosa possa servire di questi tempi un’esposizione, come se non ci si mettesse già abbastanza in mostra. Organizzarne una porta indubbiamente i suoi vantaggi economici, ma andarla a visitare? Perché? Ce lo siamo chieste anche noi.
E abbiamo delle risposte. Quelle che ci ha fornito il salone della ‘Critical Fashion’ all’interno di ‘Fa’ la cosa giusta‘, la fiera italiana degli stili di vita sostenibili, in due frenetiche giornate che ci hanno dato conferme e in cui abbiamo stretto mani e letto sguardi, insieme alle trame dei tanti materiali visti e toccati.
Potremmo star qui a elencare numeri, per esempio il 30% di visitatori in più, forse merito della free entry prevista per il quindicesimo compleanno della fiera? Invece preferiamo dirvi che chi cerca trova. Come in un vecchio armadio abbiamo tirato fuori cenci da buttare ma anche quel vestitino adorabile che qualcosa ora ci faccio, perché mi piace troppo per darlo via. Quasi quasi lo recupero.
Proprio come fa Irene Elena, giovane modenese titolare di Random, un piccolo laboratorio che coniuga la moda etica alla qualità della sartoria, salvando, scomponendo e ricomponendo abiti usati. E non così a caso ma dopo una lunga fase di incubazione e progettazione. “L’upcycling – ci spiega Irene – non significa riciclo. La gente non deve credere che questo termine significhi riadattare e adattarsi, bensì dare vita nuova all’usato con un tocco in più e di valore maggiore. La vestibilità va per me di pari passo con l’originalità“. È questa la piccola rivoluzione di pensiero che anima la giovane imprenditrice: sostenibilità fa rima con qualità e anche umanità perché, aggiunge Irene, “siamo esseri umani, non macchine e lavorando con passione trasmettiamo un’energia particolare ai prodotti, trasmettiamo un pezzettino di noi“.
Ma etica e handmade non significano sempre guadagno. Perché sì, l’eco-moda attira molto pubblico che ama curiosare ma che non sempre riesce a riconoscere il valore di un prodotto fatto a mano o recuperato. Gli stand, come piccole nicchie all’interno di una cattedrale, sono visitati da fedelissimi della filosofia green e da nuovi adepti che accarezzano le creazioni come reliquie. Estasiati da leggerezza, morbidezza e originalità, indietreggiano a volte di fronte al prezzo, come fosse un’esagerazione.
Uno scoglio bello grosso per molte realtà emergenti quello del guadagno, ma non per quelle affermate. E’ il caso di Risorse Future, marchio calzaturiero marchigiano che a causa della crisi ha riconvertito l’intera azienda, accettando una nuova sfida dopo 65 anni di attività e diventando un brand di calzature certificate vegane al 100%. Dieci anni fa sono stati loro a presentare la prima scarpa italiana biodegradabile e oggi, forti di esperienza e di ricerca scientifica, non smettono di innovare. “Ai tempi d’oro, quando le scarpe le facevamo di pelle, ne sfornavamo 2500 paia al dì, oggi 4500 all’anno – ci dicono allo stand – Ma non siamo affatto pentiti, tutt’altro. Stiamo lavorando anche a un nuovo materiale che non vediamo l’ora di presentare”.
Fidelizzare è l’altra parola d’ordine insieme a personalizzazione, stampata negli occhi di chi, alla sostenibilità ci crede davvero. Detto con un ossimoro: prêt-à-porter su misura. Come ci spiegano allo stand di Moodìa, sottotitolato ‘Umore Sartoriale’, sartoria laziale che definisce i propri capi coccole e capricci, indossabili in varie combinazioni a seconda dell’umore. L’ultima collezione, concepita dalla designer Manuela Orsucci, si ispira a Modigliani per le linee minimali e definite, come quelle dei pantaloni a righe in grigio e nero, ampi e insieme avvolgenti, da portare sotto a un long dress con profondo spacco centrale o da accostare a un top asciutto. “Vendiamo on-line ma vogliamo che le nostre clienti entrino nel sito come se entrassero in un atelier virtuale. Per questo manteniamo un contatto il più possibile immediato e costante, così da provare a soddisfare ogni richiesta” ci dicono le donne di Moodìa.
Non poteva poi mancare l’esotico dei paesi lontani, qui in veste sociale, solidale ma anche innovativa. L’Africa è tra i partner preferiti di piccole cooperative indipendenti e non parla più solo attraverso stereotipi ma tramite competenze, lavorazioni e materie prime di qualità, frutto della tradizione e della valorizzazione del territorio. La seta selvatica lavorata dalle artigiane del Madagascar, che hanno volti e nomi, è alla base dell’ultima collezione di Esthéthique, il brand etico di commercio equo nato dal progetto di Materia Critica, studio di design e comunicazione formato da tre ragazzi emiliani che hanno messo a nuovo una cooperativa attiva da trent’anni nel mondo solidale. “Abbiamo pensato di associare alla parte più tradizionale, qualcosa di innovativo e fashion, cercando così di valorizzare la sapienza degli artigiani del posto – ci raccontano Martina e Naomi – per ora produciamo piccoli accessori di design, le sciarpe di seta selvatica sono il nostro fiore all’occhiello. Si tratta di pezzi di sedici colori diversi, tutti quelli che è stato possibile tingere sul posto in maniera naturale. Ma abbiamo in mente tante altre novità”.
Il tessuto bogolano del Burkina Faso intreccia invece i destini di piccoli produttori di questo Paese a quelli delle detenute che lavorano presso la sartoria sociale torinese Il Gelso, grazie allo spirito errabondo di Elena La Rovere, che proprio in Africa è stata folgorata da una particolare tecnica di tessitura e dal suo artefice, Ibrahim, che tuttora rifornisce le sarte della cooperativa. “Mi piaceva l’idea di materializzare il legame che da sempre unisce Torino a quella terra lontana, lasciando che le due realtà si contaminassero” – ci spiega Elena. E’ nata così Bogobo, una linea di borse e accessori, tutti rigorosamente etici e biologici, colore di sabbia e di ebano, nati in Africa e cresciuti in Piemonte. Una linea destinata ad allungarsi visto l’entusiasmo della giovane imprenditrice.
Noi abbiamo cominciato. Seguiteci.
Novella Di Paolo
Ciao, Sono Alice e sono stata anche io in visita a Fà la cosa giusta.
Condivido l’entusiasmo e la motivazione contaminante di chi produce in modo etico e di chi, come me, è nella possibilità di scegliere.
E di diffondere, cosa che faccio attraverso il mio blog che tratta, tra gli altri, il tema del madeinitaly e dei brand indipendenti.
Speriamo di coinvolgere più persone possibili,
Un saluto
Alice
Ciao Alice,
grazie del tuo commento, fa piacere incontrarsi tra ‘eco-blogger’! 😉 Sono convinta che la strada sia quella giusta, continuiamo così!
Qual è il tuo blog?
Barbara
Ciao Barbara, il mio blog é http://www.mypunkbox.blogspot.it, dove tratto appunto anche di ethical fashion e brand indipendenti nelle sezioni MadeInItaly e BelleIdee che trovi in home page. Fammi sapere cosa ne pensi, ho anche una pagina fb e Ig sempre come @mypunkbox.
Alice
Vado a darci un’occhiata appena riesco! Anch’io sto su FB e IG … a presto e teniamoci in contatto!