Di vintage e second hand (o seconda mano o usato o pre-loved come preferite chiamarla), qui nel blog, parliamo spesso perché sono due pratiche che incentivano il riuso e riducono gli sprechi, salvando i nostri armadi, e non solo, da pericolosi assembramenti.

Entrambi hanno preso sempre più piede, soprattutto con la pandemia che ci ha portato a rivedere le nostre abitudini di consumo e si sono diffusi molto tra i più giovani, dai Millennial agli Zoomer, che lo scelgono perché sono “smart & cool”.

Concentriamoci soprattutto sulla moda pre-loved (perché il vintage non è per forza usato, anzi, il più delle volte è nuovo e la sua particolarità è la ricercatezza, l’essere un pezzo unico o raro appartenente a un’altra epoca); uno studio di una delle più gettonate piattaforme di vendita/acquisto di usato, Vestiaire Collective, che vanta 11 milioni di iscritti in 80 paesi, e del Boston Consulting Group ha stimato che oggi il mercato della moda second hand rappresenti globalmente 40 miliardi di dollari e la sua crescita media prevista nei prossimi anni è del 15%-20%.

Sempre secondo il Boston Consulting Group, una delle motivazioni di acquisto del second hand sarebbe quella di trovare capi unici e un’ampia varietà di stili e marchi a prezzi convenienti ma c’è anche chi lo fa per motivi di consapevolezza ambientale.

Motivazioni a parte, tra il 2019 e il 2021, quindi appunto in tutto il periodo che copre la pandemia, sono andate live almeno 13 nuove piattaforme dedicate alla moda pre-loved, in una rincorsa che ha coinvolto consumatori, marchi e investitori. 

Eppure, malgrado il successo di questa pratica, il futuro presenta molte incertezze e questo perché sul mercato si confrontano modelli di business molto diversi, la cui sostenibilità economica deve ancora essere dimostrata: sharing C2C (customer to customer, come ad esempio Vinted), intermediazione in conto vendita (i mercatini dell’usato come Mercatopoli), piattaforme di proprietà dei marchi (riservati ai prodotti del marchio o aperte) o indipendenti, insomma il panorama è vasto.

“Il raggiungimento di adeguati livelli di profitto resta una sfida aperta che le startup del settore e i relativi modelli di business sono ancora lontani dal vincere. Un esempio sono le tre piattaforme che finora si sono quotate in borsa: The RealReal, Poshmark e ThreadUp, nessuna di esse ha finora depositato bilanci senza perdite e il valore corrente delle loro azioni è oggi inferiore al prezzo di collocamento”.

Immagine di copertina courtesy ArminStautBerlin 

Ringrazio Milano Unica per le informazioni

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