Abbiamo toccato spesso l’argomento del ‘vintage’ trasversalmente, parlando di marchi che vi s’ispirano o che ci lavorano, realizzando collezioni upcycled. Il vintage è diventato di fatto una pratica del vestire sostenibile, sempre più diffuso soprattutto tra i giovanissimi che cercano soprattutto capi anni ’80 e ’90, decadi a loro vicine ma non vissute personalmente.

Quindi, per questa intervista del mese, che sarà l’ultima dell’estate, ho scelto di parlare con Francesca Tonelli, fondatrice del fu Vintag (poi capirete il motivo del ‘fu’), formidabile marketplace dedicato al vintage che aveva raggiunto 120mila utenti attivi in app, e oggi ideatrice di tanti altri bei progetti sempre legati a questa pratica ricca di storia e di risvolti affascinanti.

Francesca Tonelli

In realtà con Francesca avevo già parlato qualche mese fa, quando preparavo un corso sul vintage per Superzoom Academy(chi fosse interessato al corso mi contatti in privato, c’è un codice sconto per i lettori di eco-à-porter); le avevo chiesto com’era nata questa passione e lei mi aveva raccontato che un giorno, facendo un trasloco, aveva trovato un vecchio baule di sua nonna Cesarina pieno di vestiti buoni, quelli delle occasioni e della domenica. C’erano abiti, scarpe e borse perfettamente conservati. Così ha cominciato a documentarsi meglio per rendersi conto del valore reale di quegli indumenti ma cercando in rete si era accorta di come ci fosse una certa confusione su termini come vintage, stile vintage e riproduzione di abiti vintage. Così ha pensato che, come lei che era un’appassionata, potesse esserci in giro tanta gente che avesse voglia di confrontarsi con persone che condividevano la stessa passione. Così è nata l’idea di creare Vintag, una piattaforma, una community e un’app che si occupava di vintage in modo autentico e completo.

Ma sentiamo cosa ci racconta Francesca.

La tua avventura con Vintag si è purtroppo conclusa ma sono sicura che ti ha lasciato un grande know-how … ti va di farci una sorta di recap?

Vintag è stata un’esperienza meravigliosa che ha convolto più di 120mila persone. Sono fiera di quello che abbiamo costruito. Purtroppo è accaduto l’impensabile. Un nostro fornitore, scelto per la sua nota serietà e competenza, ha perso di punto in bianco tutti i nostri dati, li ha persi irrimediabilmente, tutto scomparso: Vintag dal giorno alla notte, e ancora oggi senza spiegazione, si è fermato. In un’attività come la nostra i dati sono il 90% del business e dell’attività. Potevamo ripartire da zero? In molti ce lo hanno chiesto e ci abbiamo pensato a lungo ma ci volevano molti soldi e molto tempo. I soci hanno deciso di mettere in liquidazione la società. Il data center che ha perso i dati ha ammesso la propria colpa e al momento ci sono gli avvocati di Vintag al lavoro: sono fiduciosa che tutte le persone che hanno investito e creduto in noi possano essere risarcite. Ma quello che davvero mi dispiace è che dal fornitore non è arrivata nemmeno una scusa, nemmeno un pensiero nei confronti del team che dal giorno alla notte ha perso un’opportunità di lavoro. Ecco per loro combatterò fino ad avere il giusto risarcimento.

Ti capisco Francesca, direi oltre al danno, la beffa della mancanza di rispetto. Ma so che ti sei già buttata in un nuovo progetto che si chiama ‘And Circular’, ha sempre a che fare col vintage e il second hand, se non sbaglio, però ha un risvolto sociale; in cosa consiste e quali realtà hai coinvolto?

Cintura Cartier in vendita nello shop di And Circular

And Circular ha un claim che dice: una seconda opportunità per gli abiti e una seconda opportunità per le persone. Ecco, anche per me è stata una seconda opportunità. È stato Francesco Tonelli, amministratore della sede bolognese della cooperativa sociale La Fraternità, a tendermi la mano in un momento di difficoltà e a offrirmi questa chance di ripartire. Il progetto che abbiamo creato assieme è grandioso e ha un valore etico davvero importante: rendere meno inquinata la nostra amata terra mettendo le persone al centro. La Fraternità, che è emanazione dell’associazione Papa Giovanni XXIII, raccoglie oltre 4000 tonnellate di abiti usati in Emilia Romagna e lo fa dando lavoro a decine di persone ‘fragili’. L’idea di And è quella di valorizzare questi abiti usati coinvolgendo diverse realtà e associazioni del territorio come centri diurni e comunità terapeutiche e anche i detenuti del Carcere di Bologna. Abbiamo aperto un e-commerce e vendiamo su alcuni marketplace (ironia della sorte quelli che erano i competitori di Vintag). Entro fine 2021 contiamo di aprire uno store fisico sempre a Bologna.

Il capannone di Mercatale (Bologna) in cui viene fatta la selezione della merce

Bel progetto, complimenti Francesca. A Bologna ci vengo ogni tanto, così verrò a trovarvi. Hai anche fondato il blog ‘All you need is vintage’: di cosa tratta?

Quando ho ufficialmente comunicato che Vintag chiudeva, ho ricevuto migliaia di messaggi di affetto e incoraggiamento dai nostri utenti. Vintag e il suo blog erano diventati in Italia il punto di riferimento per tutti gli appassionati di vintage: è nata dunque l’esigenza di non disperdere questa esperienza. Assieme alle ragazze che seguivano il blog volevamo tenere aggregato il grande gruppo di persone che si era creato attorno al marketplace che ho fondato, anche perché ci siamo accorte che in Italia un magazine come il nostro non esiste. Al momento il blog coinvolge sei donne che parlano di vintage a 360 gradi: dalla musica al design, dalla moda ai ricordi della nostra infanzia. Abbiamo oltre 13mila follower su Instagram che ci seguono con entusiasmo inondandoci di spunti e riflessioni. A breve iniziamo il tour nei piccoli negozi e spazi dedicati al vintage in Italia … al momento non posso svelare altro ma ne vedremo delle belle, statene certi! Perché tutto quello di cui abbiamo bisogno è il vintage 🙂

Bene, dai, sono curiosa! Non è un caso che tu sia stata definita dal ‘Sole 24 ore’ una delle più promettenti startupper’; se oggi dovessi dare dei consigli a chi volesse seguire un percorso simile al tuo, quali sarebbero?

Non ho mai amato dare consigli ma dopo quello che è accaduto mi sento di dire che non bisogna avere paura di fallire. Se si crede in qualcosa suggerisco di buttare il cuore oltre l’ostacolo e provarci, ma solo se si mette in conto di lavorare 15 ore al giorno e di non guadagnare nulla per diverso tempo. Senza sacrifici è difficile trasformare il sogno in realtà. Vintag è stata un’esperienza bellissima che mi ha insegnato tantissimo e fatto crescere sia a livello lavorativo che a livello personale. Certo, può anche accadere che si fallisce per colpa di un fornitore… ma l’importante è non abbattersi, rimboccarsi le maniche e ripartire proprio come ho fatto io con And Circular. Se si lavora bene, le seconde occasioni ci sono sempre.

Non potrei essere più d’accordo con te, lo vedo anch’io con il mio blog … allora Francesca, complimenti per i tuoi nuovi progetti e in bocca al lupo per tutto (e sempre viva il nostro lupo!).

Articolo precedenteR3UNITE, sfilare pulendo l’ambiente
Articolo successivoEsce il Fashion Transparency Index 2021

2 Commenti

  1. Purtroppo bisogna accettare il fatto che il vintage non è alla portata dei gusti di tutti e che gioco forza non ce n’è abbastanza per soddisfare i bisogni di tutti.
    Oltre al vintage occorre spingere la cultura del Made in Italy che produce economia locale, abbatte i consumi di idrocarburi dovuti ai trasporti internazionali, combatte lo sfruttamento di persone e risorse naturali e produce abbigliamento di maggiore qualità, quindi molto più durevole.

    • Salve, grazie per il commento, l’ho trovato tardi purtroppo. Credo invece che il vintage sia alla portata dei gusti di tutti, perché tratta tutte le epoche e tutti gli stili. E se non interessa il vintage, c’è sempre il second hand. Però sono d’accordo con lei sul fatto che il Made in Italy vada incentivato e tutelato e quando dico ‘made in Italy’, intendo quello delle piccole-medie imprese, quello dei marchi autoprodotti e veramente artigianali. E contemporaneamente andrebbero incentivate quelle tecniche come il recupero e l’upcycling, che gli stessi marchi le applichino ai propri prodotti. E’ una questione di mentalità ma anche di leggi e politiche. Qui in Italia va tutto a rilento e di certo non si aiutano gli imprenditori e i designer a praticare questo tipo di moda.

LASCIA UN COMMENTO

Inserisci i tuoi commenti
Inserisci qui il tuo nome