di Mariangela Bonesso

Contatto Francesca una prima volta, mentre si trova ancora a Milano. Lei, dopo qualche giorno, risponde via mail dalla Tanzania, dove sta coordinando un nuovo progetto di shooting. Leggo il suo messaggio e mi domando: “Ma come fa a fare tutto?”. Francesca De Gottardo, CEO di Endelea, ha l’entusiasmo contagioso di chi nella vita, più che la meta, assapora il percorso senza sconti di rischio.

Quando Barbara mi ha chiesto di intervistarla per eco-à-porter, ho ripensato al suo sguardo, incrociato tempo prima sulle pagine del Magazine LEI: occhi sinceri, autentici come le prime parole di una storia che mira dritta al cuore. E chi conosce Endelea, sa che è esattamente così: una realtà di moda etica tra Italia e Tanzania, nata come start up nel 2018 e divenuta società benefit dal 2020. Un’impresa che parla di inclusività, di creatività senza confini fisici ma rispettosa dell’autenticità delle tradizioni.

Le collezioni Endelea di abiti e accessori sono disegnate a Milano e realizzate da sarte e sarti a Dar es Salaam, in Tanzania. Le stoffe, come Wax, Kikoi, Maasai, sono acquistate in loco mentre la distribuzione avviene in tutta Europa tramite il sito ufficiale.

Francesca De Gottardo alla premiazione Young Designer DHL Award 2022

Un mix virtuoso di relazioni e competenze tra due continenti, che si completa con una percentuale di ricavi reinvestita nella formazione dei dipendenti in Africa e nella realizzazione di progetti educativi per scuole e università tanzaniane. 

Lo scorso autunno, in occasione della prima partecipazione di Endelea alla Milano Fashion Week tra i ‘Designers for the Planet’, il brand ha ricevuto due prestigiosi riconoscimenti: il Premio Camera Buyer e il Young Designer DHL Award 2022.

La collezione inverno Maasai, firmata dalla designer e creative director Alessandra Modarelli, ha sorpreso anche per l’innovativo impiego del tessuto: il Maasai è stato infatti trapuntato e imbottito con fibre sostenibili. Il risultato è una capsule colorata e calda di giacche e gonne reversibili, sciarpe oversize e colletti.

Maxi abito Maasai e giacca reversibile trapuntata

Oltre al Masaai trapuntato, nella collezione è presente anche il tessuto nella versione check, più leggera e prevalentemente in cotone, valorizzata da ruche, volant e maxi balze, e quella Shuka, più pesante e adatta a un look punk-chic, con gonne frangiate e pantaloni palazzo.

I colori riflettono significati diversi: il rosso e il rosa evocano il coraggio, il bianco la purezza, il verde la natura come fonte di vita mentre il giallo richiama l’energia del sole. La collezione Maasai ha ottenuto anche il patrocinio della Maasai Intellectual Property Initiative (MIPI), che tutela la cultura Maasai nel mondo. 

Non posso non chiedere a Francesca quale sia, per Endelea, il limite oltre cui l’interpretazione di tessuti, che non appartengono alla propria cultura, più che sinergia creativa diventa quasi un modo ‘sbagliato’ di usarli.

Spiega Francesca: “Per Endelea il limite è e sarà sempre quello che ci danno le comunità con cui collaboriamo, che di una determinata cultura sono i depositari: ci fidiamo delle persone e cerchiamo di prendere solo decisioni che rispettino tutti i protagonisti di ogni racconto – dai Maasai ai designer locali, dai pittori Tingatinga al team tanzaniano che lavora alla manifattura delle collezioni. La parola chiave per Endelea è sempre rispetto, e ci sono state anche occasioni in cui ci siamo tirate indietro e abbiamo rinunciato a qualcosa per non rischiare di far passare un messaggio meno autentico. Nel caso della collezione Maasai, ad esempio, tutti i capi sono stati realizzati in collaborazione con i Maasai del MIPI, che ci hanno anche illustrato i significati dei singoli colori e ci hanno consigliate sul modo migliore per mostrare attraverso le foto gli elementi della loro cultura, in modo che i nostri contenuti fossero a tutti gli effetti un amplificatore della loro voce, più che una voce sé stante che parla di cultura Maasai. La differenza tra cultural appropriation e appreciation è molto sottile, ma alla fine la differenza la fanno sempre le persone e il loro atteggiamento”.

Endelea, il proprio tratto distintivo, lo porta scritto anche nel nome: in lingua Swahili, significa ‘andare avanti senza arrendersi alle difficoltà’ mentre il claim DREAM BOLD invita a sognare in grande, avendo magari anche il coraggio di attuare un cambiamento. Francesca e il suo gruppo cercano di farlo ogni giorno, investendo molto sulle donne con un team all’85% femminile, azzerando il gender pay gap e garantendo alle sarte e ai sarti in Tanzania uno stipendio ben più alto della media locale, oltre a un’assicurazione sanitaria per sé e le famiglie.

Un impatto positivo sulle persone che genera un effetto altrettanto positivo sull’ambiente: la filosofia sostenibile del brand passa anche dall’acquisto di tessuti africani presso produttori locali o in alternativa realizzati ad hoc da piccoli rivenditori del posto, così da rendere la filiera trasparente, equa e sostenibile dal punto di vista ambientale.

Anche il packaging è rigorosamente curato per essere plastic free: la busta che contiene i capi deriva da tessuti di scarto delle precedenti collezioni mentre le etichette sono in carta riciclata e i sacchetti compostabili. Perché ogni azione, anche la più piccola, può veramente fare la differenza. 

Endelea alla Milano Fashion Week

Chiedo a Francesca quale sia, nell’alfabeto della sostenibilità, la parola che più di altre può convincere a un acquisto consapevole: “Futuro, risponde sicura. Che le nostre scelte abbiano un impatto a livello ambientale, oltre che umano, è una certezza ormai sotto gli occhi di tutti. Un impatto che sta crescendo a livello esponenziale e ci espone al rischio di un futuro molto diverso da quello che immaginiamo, costellato di eventi drammatici e dove le nostre scelte saranno comunque molto ridotte, che lo vogliamo o no. Quindi è per questo futuro, che non è remoto ma anzi pericolosamente vicino, che dobbiamo modificare i nostri comportamenti di oggi: ogni acquisto porta con sé una scelta”.

Penso a mia figlia, 9 anni, quando in una scatola da buttare vede spazio per la fantasia, e a mia nonna, sarta in periodo di guerra, che risvoltava i colletti dei cappotti e reinventava per le clienti gli stessi vestiti a colpi di forbice, aggrappandosi alla fiducia in un domani diverso. 

Hai ragione, Francesca: qualunque sia il nostro presente, un’alternativa c’è sempre e il futuro che vogliamo, fosse solo un pezzettino, possiamo costruirlo anche noi. Scegliendo, ogni giorno.

Tutte le immagini sono courtesy Endelea

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