Buone notizie: anche la legge italiana comincia a muoversi sul fronte greenwashing, con la prima ordinanza cautelare di un Tribunale Italiano (tra le prime anche in Europa) in materia di ‘finto green’.
A emetterla il Tribunale di Gorizia a seguito di un ricorso d’urgenza presentato da Alcantara, azienda italiana che produce e commercializza in tutto il mondo l’omonimo materiale a marchio registrato Alcantara®, nei confronti di Miko, società friulana che commercializza il materiale ‘Dinamica’, utilizzato anche su alcuni modelli di auto.
Del caso e della relativa ordinanza si è parlato in una conferenza stampa organizzata da Save the Planet, associazione no profit che promuove progetti, azioni e soluzioni concrete per aiutare il pianeta e tutelare l’ambiente; ricordando “l’impegno di Save the Planet per una transizione ecologica reale e non di facciata” la presidente Elena Stoppioni ha spiegato che il ‘caso Alcantara’ può diventare una prima, fondamentale case history in tema di greenwashing, utile per casi di giurisprudenza.
In poche parole Miko pubblicizzava il proprio materiale ‘Dinamica’ con una serie di claim quali: ‘La prima microfibra sostenibile e riciclabile’, ‘100% riciclabile’, ‘riduzione del consumo di energia e delle emissioni di CO2 dell’80%’, ‘amica dell’ambiente’, ‘scelta naturale’ e ‘microfibra ecologica’ e di “informazioni non verificabili e ingannevoli sul contenuto di materiale riciclato del prodotto”.
Con riferimento ai claim ‘microfibra ecologica’, ‘amica dell’ambiente’ e ‘scelta naturale’, il Tribunale di Gorizia ha affermato che “i messaggi pubblicitari denunciati da parte ricorrente sono sicuramente molto generici e sicuramente creano nel consumatore un’immagine green dell’azienda senza peraltro dar conto effettivamente di quali siano le politiche aziendali che consentono un maggior rispetto dell’ambiente e riducano fattivamente l’impatto che la produzione e commercializzazione di un materiale di derivazione petrolifera possano determinare in senso positivo sull’ambiente e sul suo rispetto”, aggiungendo che “alcuni concetti riportati trovano smentita nella stessa composizione e derivazione del materiale” considerando peraltro “che risulta difficile supporre che possa essere considerata una fibra naturale”.
L’ordinanza emessa va di pari passo con un’altra dichiarazione del Tribunale secondo cui “la sensibilità verso i problemi ambientali è oggi molto elevata e le virtù ecologiche decantate da un’impresa o da un prodotto possono influenzare le scelte di acquisto”, aggiungendo che le “dichiarazioni ambientali verdi devono essere chiare, veritiere, accurate e non fuorvianti, basate su dati scientifici presentati in modo comprensibile”.
Sappiamo bene che il greenwashing dà solo una pennellata verde ad aziende che di fatto non lo sono e ciò provoca molteplici danni, non solo perché inganna il consumatore che tende a optare per prodotti eco-friendly rispetto a quelli tradizionali, anche pagando prezzi più elevati ma danneggia la competitività di aziende più rigorose, in questo preciso caso Alcantara, impegnata nella sostenibilità da anni.
Il danno poi, aggiunge Save the Planet, può essere anche di carattere strettamente finanziario poiché le obbligazioni green, secondo le stime di Standard & Poor, potrebbero superare a fine di quest’anno i 1000 miliardi di dollari; si tratta di una massa enorme di risorse cui le aziende possono attingere ma è necessario che il processo decisionale sia liberato da ogni ingannevole comunicazione di greenwashing.
Antonello Ciotti, presidente dell’Associazione Europea dei produttori di Poliestere (CPME ), anche lui presente alla conferenza stampa, ha ricordato le problematiche aperte dal concetto di ‘materiale riciclato’, tanto più che, per toccare un prodotto di larghissimo consumo, la direttiva europea sulla plastica “richiede entro il 2025 che in ogni Paese membro dell’EU, ogni bottiglia contenga almeno il 25% di PET riciclato”. Di qui, ha sottolineato, davanti al rischio di “dichiarazioni che possono alterare la leale concorrenza oltre che ingannare il consumatore, c’è la necessità di ricorrere a best practice riconosciute a livello internazionale per definire esattamente il contenuto di riciclato, specialmente in questa fase in cui il costo del materiale riciclato è di gran lunga superiore a quello vergine”.
Ultimo ma non meno importante, il caso ha portato Save the Planet a costituire una commissione di appositi esperti che avranno il compito di vagliare e monitorare possibili azioni di greenwashing e, quindi, di comunicazioni scorrette verso i consumatori in termini di sostenibilità. Inoltre è attiva una community sul sito dell’associazione per segnalare potenziali pratiche di questo tipo, anche in forma anonima.
Mi sembra un buon inizio.
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