Storie di vintage e di altri modi del vestire sostenibile

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Il mio amore per il vintage, ormai, è risaputo, come anche la mia volontà di diffonderne la pratica, tanto che, in uno dei moduli del corso sostenibilità per la moda per Superzoom Academy, l’ho inserito come uno dei modi del vestire sostenibile.

Quindi, sì, parlarne mi piace sempre e stavolta lo faccio con una storia particolare, perché a noi di eco-à-porter piacciono le storie, anche questo lo sapete bene.

Giorgiomaria Cornelio

A casa di un’amica, Giuditta Chiaraluce (tenete a mente questo nome, perché lo ritroverete) qualche anno fa ormai, in occasione di una vendita privata di abiti da lei realizzati, vidi un ragazzo, neanche ventenne, alto, magro, con lunghi capelli ricci e abbigliamento ricercato, venuto a provarsi qualche pezzo. Sedeva a gambe incrociate ed era molto dandy, ‘dandy’ nell’accezione positiva che ho io del termine, fine, bello, raffinato senza ostentazione. Un po’ mi faceva venire in mente Tadzio di Morte a Venezia.

Negli anni a seguire quel ragazzo l’ho visto ancora e poi ne ho sentito anche parlare perché, oggi che di anni ne ha 25, Giorgiomaria Cornelio è poeta, regista, curatore di vari progetti tra cui la casa editrice ‘Edizioni volatili’ e la festa della poesia ‘I fumi della fornace‘, di cui ho parlato nella mia pagina Instagram.

Il retro del vinile Hunky Dory – courtesy flickr.com/photos/hansthijs

Ma ciò di cui m’interessa parlare qui è del rapporto di Giorgiomaria con la moda ma soprattutto del suo amore per il vintage e per quei dettagli suggestivi venuti dalla musica, dal cinema, dalla pittura, come il retro del vinile di Hunky Dory di David Bowie (1971), dove lui indossa un paio di pantaloni palazzo, pantaloni che Giorgiomaria, per i suoi 17 anni, si è fatto rifare dalla sarta in una versione color tabacco che custodisce ancora oggi.

Poi c’è il cappotto bianco indossato da Kim Novak ne Vertigo – La donna che visse due volte di Alfred Hitchcock (quando Giorgio me lo cita mi vengono i brividi, diciamo che è forse il mio ‘best movie ever’) “che, insieme al cappottino arancione disegnato da Hubert de Givenchy per la Hepburn in Colazione da Tiffany, costituisce probabilmente l’origine della mia ossessione per i cappotti in generale. Non è un caso, continua Giorgiomaria, che in entrambi i film vi sia la cura magistrale di Edith Head, tra le più grandi costumiste di sempre“. (anche qui, come non essere d’accordo?).

Quando rifletto sulle vesti, e sul perché della loro importanza, racconta, mi viene in mente il pensiero di un filosofo russo, Pavel Florenskij, che considerava le vesti dei santi nelle icone russe come organi luminosi. Diceva: «Non la carne e il sangue, ma le vesti erediteranno il Regno di Dio». Non è forse una delle più belle definizioni sul tema mai formulate?”.

Chiedo poi a Giorgiomaria da dove vengono gli abiti che indossa: “Gran parte sono stati fatti su misura per mia nonna da due formidabili sarte e sorelle: Lidia e Ivana. Sono nato dentro questa archeologia familiare, nato maschio ‘storto’, consegnato interamente a questo universo di donne che rifacevano il corpo con i tessuti più disparati. Una grande idea, fieramente contronatura: indossare per trasformarsi, continuamente, oltre qualsiasi corpo naturale. Accanto agli abiti di mia nonna, ho affiancato anche quelli fatti fare per me dalle stesse sorelle sarte, come i pantaloni di cui parlavo prima, oppure un abito creato dall’artista Giuditta Chiaraluce, i cui intrecci vegetali sulla seta hanno marcato il mio ultimo passaggio in Irlanda, terra in cui ho vissuto per cinque anni e che in parte continua a influenzare il mio sguardo“. 

Quindi non solo vintage ma anche artigianato, handmade, recupero tessile.

Poi continua: “Altre realtà che frequento con grande attenzione sono gli archivi vintage, come Sangueblu a Venezia, città dove attualmente vivo; Sangueblu mi ha coinvolto anche in una serie di scatti e ha risvegliato in me la passione per alcuni marchi e stilisti, anche diversissimi tra loro, come Issey Miyake, Missoni e Roberto Cavalli“.

Prima di chiudere, gli chiedo, da poeta e scrittore, che definizione darebbe di ‘moda sostenibile’ e lui così risponde: “Nel mio nuovo libro, La specie storta, c’è una sezione che si chiama ‘I panni e la cenere’, facendo riferimento all’antica usanza di lavare i panni con cenere e acqua bollente. In fondo il poeta cura la parola come una veste: «strofinando i panni dell’avvenire con la cenere di ciò che ci precede».

Avere cura di ciò che indossiamo, avere cura di ciò che ci viene lasciato, custodirlo e tramandarlo. Perché #lovedclotheslast . Grazie Giorgiomaria Cornelio, bella testimonianza.

Tutte le foto sono courtesy Giorgiomaria Cornelio

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