Chi lavora nel settore moda, e a maggior ragione in quella etica, saprà che un mese fa la Commissione Europea ha approvato la Strategia Europea per il Tessile Sostenibile, documento che cerca di dare una direzione e mettere dei punti a un campo tanto vasto quanto complesso come quello del tessile e di conseguenza di tutta l’industria della moda.

Questa Strategia dovrebbe permettere all’Unione Europea di passare gradualmente a un’economia circolare e “climaticamente neutra in cui i prodotti sono progettati per essere più durevoli, riutilizzabili, riparabili, riciclabili ed efficienti sotto il profilo energetico”.

Inoltre avrebbe come obiettivo quello di assicurare la ripresa dell’industria tessile dalla crisi pandemica in modo sostenibile, “rendendola più competitiva, applicando i principi dell’economia circolare alla produzione, ai prodotti, al consumo, alla gestione dei rifiuti e alle materie prime secondarie, orientando gli investimenti verso la ricerca e l’innovazione”.

Silvia Gambi

Per farci un’idea più chiara della cosa, che come dicevo si presenta molto complessa, abbiamo chiesto un parere a Silvia Gambi, collega molto preparata su queste tematiche, cui abbiamo rivolto qualche domanda qui di seguito.

Silvia, in sintesi quali sono i punti di questa Strategia e soprattutto quali pensi siano, in termini di tempo e possibilità, i più fattibili?

Penso che la Strategia abbia individuato alcune questioni importanti che dovranno essere affrontate nei prossimi mesi e nei prossimi anni, ma sono temi di cui parlavamo da tempo e che già sono al centro del dibattito. E’ evidente che si è scelto di approcciare un tema complicato come quello della moda con grande cautela. La Strategia individua i grandi temi, che poi devono essere trasformati in normativa e vengono anche stabiliti dei tempi: ci vorranno almeno 3 anni prima che il quadro sia completo. Il quadro generale è condivisibile, adesso si tratta di capire in quali norme si concretizzerà

Scrivi che “nell’occhio del ciclone della Commissione Europea c’è anche il poliestere riciclato da PET, perché il modello di riciclo che la Commissione vuole promuovere è quello “da fibra a fibra” ma non ti sembra troppo limitante? Se un capo è fatto al 100% di PET, può essere riciclato all’infinito … o il problema che considerano loro è quello delle micro-plastiche?

Un capo prodotto da PET riciclato non può essere riciclato all’infinito e ha un impatto in termini di CO2 anche più pesante di quello vergine. Il poliestere riciclato da PET è la soluzione più semplice per raccontare ai propri consumatori che si sta facendo qualcosa di concreto nell’ambito della circolarità, ma serve solo a creare slogan. E questo ci fa distogliere l’attenzione dal vero obiettivo: individuare soluzioni di riciclo da tessuto a tessuto, sono queste le innovazioni che possono fare la differenza e su questo l’industria tessile deve concentrarsi.

Il tema dei diritti umani, come scrivi, “è trattato da una normativa generale, che avrà anche un impatto sul tessile e moda”. Quali potrebbero essere questi impatti?

Con la normativa sulla due diligence il produttore sarà responsabile anche dell’impatto ambientale e sociale della propria catena di produzione. Questa normativa si applicherà anche al tessile e alla moda, ma non sarà semplice. Nello stato di New York è stata presentata una proposta di legge che prevede che le aziende della moda saranno responsabili della propria catena di produzione e che per fare questo dovranno tracciare tutti i i passaggi, in qualsiasi Paese vengano svolti. La strada è tracciata, i rapporti tra produttori e filiera sono destinati a cambiare. Speriamo in meglio. 

Una tua opinione sulla Strategia, nel complesso?

Come ho detto sopra, è lodevole lo sforzo di voler mettere ordine in un settore che è così caotico, ma l’ho trovata timida, poco coraggiosa. Credo che dovremo prestare grande attenzione a come saranno sviluppati i vari interventi normativi, perché quelli avranno un impatto vero. Tra i primi atti che saranno approvati c’è quello sul greenwashing, è importante capire cosa verrà fuori.

‘Fast fashion is out of fashion’: ma è proprio così? basterà questa strategia a far cambiare metodi di produzione alle catene di fast fashion? O troveranno il modo di aggirare la cosa con un sapiente greenwashing?

La Strategia è un punto di partenza: adesso la Commissione Europea ci ha detto con chiarezza qual è la direzione che deve essere intrapresa. Credo che dobbiamo lavorare molto non solo sui brand, ma anche sui consumatori: dobbiamo abbandonare un modello di consumo che si basa sull’eccesso, che ci spinge ad acquistare continuamente. Se i consumatori cambiano, se diventeranno più attenti e più critici, anche il mercato cambierà le sue regole.

Spero che le parole di Silvia Gambi vi abbiano fatto venire voglia di saperne ancora di più su questa Strategia, facendovi sentire al contempo attori protagonisti di una grande rivoluzione. Noi l’abbiamo sempre detto e sempre lo ribadiremo, che come consumatori abbiamo, avete un grande potere per far cambiare in meglio questo sistema che, così com’è, va verso un’implosione senza ritorno.

E la rivoluzione è già cominciata.

Immagine di copertina courtesy Pixabay

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