Alla qualità made in Italy non si rinuncia. In fatto di moda e artigianato il belpaese non lo batte nessuno. Ovunque si metta il naso, un profumo d’Italia lo si sente sempre. Una fragranza piacevole persino quando parliamo di scarpe, quelle del marchio NOAH, calzature vegan con passaporto tedesco ma di madrelingua italiana.
Un piccolo esercito di mocassini, stivaletti, ballerine, sneaker che si possono chiamare per nome, proprio come in una classe scolastica: Lorena, Stella, Agatha, Rebecca, Alessandro, Leonardo, Diego. Un modo per dare quasi una personalità alle calzature, quello scelto dai titolari dell’azienda che, invece, i loro nomi non ci tengono a farli. “Per noi – ci dicono dall’ufficio stampa – non è importante avere un designer, quanto raggiungere l’obiettivo di creare prodotti di qualità che offrano un’alternativa senza crudeltà, nel rispetto degli animali, oltre che delle persone che li producono e che li indossano, e anche dell’ambiente“.
Un traguardo che il marchio, nato in Germania nel 2009 con la volontà di unire la sapienza e lo stile italiani al rispetto per l’ambiente, cerca di perseguire su più livelli. Materie prime, qualità e condizioni di lavoro.
Le calzature NOAH sono tutte prodotte con materiali 100% vegani. Micro-nappa e micro-suede derivati dalla tessitura di fibre di poliestere, per la tomaia; sughero, caucciù e materiali riciclati per le suole. Nel processo di lavorazione inoltre l’uso di colle è estremamente limitato e dove possibile sostituito con cuciture sapientemente realizzate da piccole aziende italiane selezionate. Il vero punto di forza del brand: gli artigiani.
“Per noi lo stile italiano è il migliore, precisano dalla Germania, per questo i nostri prodotti sono realizzati interamente in Italia. Dal materiale alle finiture“. Inoltre in Italia le condizioni di lavoro rispettano le normative nazionali ed europee, un punto su cui NOAH batte molto, perché la sua filosofia di sostenibilità passa prima dal rispetto per le persone, che successivamente si traduce in quello per l’ambiente e per gli animali, la cui tutela rappresenta il terzo grande capitolo della strategia aziendale, volta a dimostrare che un’alternativa innovativa alla tradizionale scarpa in pelle è possibile. A dirlo sono le numerose certificazioni (Peta, Vegan Society, Cruelty Free) e i premi rastrellati dal team nel corso degli anni, uno fra tutti il Vegan Fashion Award 2014 assegnato da Peta Deutschland a Dora lo stivaletto come migliore scarpa da donna.
La conquista sta inoltre, secondo i responsabili, nell’aver finalmente spezzato l’equazione: vegano uguale cibo. In altre parole smettere di mangiare carne non basta a cambiare il corso dell’industria mondiale o meglio non è l’unico strumento. La produzione di carne infatti va a braccetto con quella della pelle. Trovare dunque soluzioni alternative anche nell’ambito della moda accelererebbe il processo, perché sostituire la pelle con prodotti vegani significherebbe ad esempio più cereali a disposizione degli uomini invece che del bestiame, oltre che preservazione della biodiversità e di conseguenza contrasto ai cambiamenti climatici. Insomma, è una catena di buone azioni che portano altrettanto buoni risultati.
L’ultima sfida di NOAH, o forse la prima, è quella puramente fashion: realizzare tutto ciò con stile e eleganza. Quelli italiani ovviamente, per lasciare sì un’impronta sul pianeta, ma tutta ecologica.
Novella Di Paolo