La resistenza etica di Clare Press

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Clare Press flowers portrait by Georgia Blackie

È un’emozione particolare per me parlare oggi di e con una collega che non vive solo dall’altra parte del globo, in Australia, ma che ha fatto un percorso simile al mio, iniziando ad amare e scrivere di moda ma sentendo col tempo una vocazione sempre più forte per il benessere del Pianeta. Oggi Clare Press è l’editorialista responsabile del settore ‘sostenibilità’ di VOGUE Australia e fa parte del comitato consultivo australiano di Fashion Revolution, ma è anche scrittrice e, soprattutto, un’appassionata sostenitrice della moda etica.

Ora preferisco dare la parola alla mia ospite, come d’abitudine, perché è il modo migliore per farla conoscere anche a voi 😊

Clare, è un onore averti qui. Ed è fantastico che succeda nel primo anniversario di eco-à-porter! (sì, oggi festeggiamo 1 anno :-)) Quindi vorrei iniziare la nostra intervista con i motivi che ti hanno portato ad abbracciare la sostenibilità. In particolare se è venuta prima la passione per la moda o l’interesse per quella etica?

Grazie! E buon compleanno! Complimenti per questo sito meraviglioso, lo adoro.

Clare Press by Georgia Blackie

Allora, il mio primo pensiero alla tua domanda è stato quello di rispondere “Oh, la moda è venuta prima di tutto” perché per molti anni sono stata giornalista di moda senza specializzarmi in nessuna particolare area. Il mio lavoro era scrivere di sfilate di moda e di nuove collezioni, intervistare designer e creativi, tracciare le tendenze. Ma in realtà sono stata un’adolescente piuttosto impegnata, all’università ho studiato politica. Mi sono sempre interessata all’ambiente e capivo che bisognava proteggere la natura. Mi arrabbiavo molto per il taglio degli alberi; non è cambiato molto da allora. Quindi immagino che la verità sia una via di mezzo.

Negli ultimi anni ho messo insieme questi fili, iniziando ad approfondire l’impatto della moda sulle persone e sul Pianeta durante la ricerca del mio secondo libro, ‘Wardrobe Crisis’. Ora presento un omonimo podcast e intervisto designer, accademici, scienziati e addetti del settore moda su tutti gli aspetti della moda sostenibile. Oggi non posso dissociare la moda dal suo contesto politico e ambientale.

Alcune persone potrebbero vedere solo un bel vestito, ma io vedo un indumento fatto da mani umane, che ha un impatto maggiore o minore sull’ambiente. Vedo il potenziale di durabilità e circolarità, in rapporto al rischio di finire in discarica e alle risorse sprecate. Ora osservo ogni capo attraverso la lente della sostenibilità.

Capisco, perché è un po’ quello che è successo anche a me. Sei editorialista responsabile per la sostenibilità di VOGUE Australia e in precedenza sei stata redattrice in molte riviste di moda; quali cambiamenti hai visto nel corso degli anni nel rapporto tra moda e sostenibilità? Pensi che la tragedia di Rana Plaza abbia rappresentato uno spartiacque?

Rana Plaza ha avuto un impatto enorme, ovviamente sulle persone direttamente coinvolte, ma anche sulla più ampia comunità della moda, sul business della moda e sui consumatori. La sua portata e il suo orrore, 1138 morti, tanti altri feriti, non si poteva ignorarlo. La campagna di Fashion Revolution è nata come risposta, con la missione di rendere l’industria della moda più trasparente. Da allora abbiamo visto nascere discussioni intorno alla filiera della moda fino ai livelli più alti di governo e industria. Oggi il dibattito su come dovrebbe essere un’industria della moda responsabile, etica e sostenibile è molto più avanzato rispetto a quando ho iniziato a lavorare in questo settore cinque anni fa.

A proposito di Rana Plaza; il tuo secondo libro, ‘Wardrobe Crisis’, uscito in Australia nel 2016 e pubblicato quest’anno anche negli Stati Uniti (congratulazioni!) è stato in qualche modo una risposta a quell’evento drammatico? 

E poi una domanda frivola: ma la t-shirt sulla cover di ‘Wardrobe Crisis’ è stata realizzata davvero? La adoro!

Due cose mi hanno spinto a scrivere quel libro: una è stata Rana Plaza e il mio coinvolgimento con Fashion Revolution, l’altra la mia intervista per Vogue con Simone Cipriani sul suo lavoro con l’Ethical Fashion Initiative delle Nazioni Unite. Simone è stato per me un’ispirazione importante, mi ha incoraggiato ad agire, a usare i miei talenti per portare avanti il dibattito. È stato Simone a dirmi di scrivere un libro.

Wardrobe Crisis cover – courtesy of Clare Press

Ah no, la t-shirt è stata creata dal grafico! È un omaggio a una delle mie stiliste britanniche preferite, Katharine Hamnett, che ha iniziato a realizzare le sue magliette-slogan, usando caratteri neri simili, negli anni ’80. Ricordi le magliette con lo slogan ‘Choose Life’ che gli Wham indossavano nel video ‘Wake Me Up Before You Go-Go’ ? Quelle erano di Katharine Hamnett. Le ha anche fatte con ‘Stop Acid Rain’, ‘Save the World’ e ‘Education not Missiles’.

Ho intervistato Katharine per ‘Wardrobe Crisis’ riguardo alla questione del cotone organico e alla sua lotta per utilizzarlo negli anni ’90. Ha commissionato alcune ricerche alla Pesticide Action Network e ha scoperto quanto può essere tossico e ‘assetato’ il cotone coltivato convenzionalmente.

Mi piacerebbe avere una t-shirt così! Ad ogni modo … ‘Rise and Resist’, il tuo ultimo libro, è appena uscito. Ti va di parlarne? Il titolo sembra un invito alla lotta…contro cosa?

Mi piace l’idea di una resistenza allo status quo, al presupposto che il denaro è ciò che conta di più, alla distruzione totale della natura, alla nostra incapacità di proteggere i nostri spazi naturali, ai nostri sprechi, all’ingiustizia e alla disuguaglianza. Ma alla fin fine questo è un libro positivo di storie ispiratrici che vengono dalla gente comune che fa cose straordinarie per rendere la nostra società più sostenibile. Il segreto è nel sottotitolo che: è ‘Come cambiare il mondo’. È un libro sul nuovo attivismo.

L’idea è stata lanciata durante la Women’s Marches del gennaio 2017, quando 5 milioni di persone sono scese in strada in tutto il mondo. Donald Trump era il catalizzatore, la scintilla che ha acceso la miccia, ma le ragioni più profonde andavano oltre Trump. Riguardavano l’uguaglianza in generale, la giustizia sociale e climatica. Che tipo di mondo vogliamo per le generazioni future? Le grandi questioni che riguardano l’umanità e la sostenibilità sono tutte interconnesse, eppure ho trovato una netta discrepanza tra ciò che i più vogliono e le agende egoistiche di un ristretto numero di persone al potere. Ho iniziato a pensare a un libro sull’attivismo e la moda, o sul femminismo e la moda, cercando di immaginarmi una storia.

Poi, nel settembre 2018, sono andata in gita con alcuni scienziati del clima alla Grande Barriera Corallina insieme a una ONG australiana chiamata Climate Council. L’idea era di mostrarci in prima persona cosa succede alle nostre barriere coralline quando gli oceani si scaldano e diventano più acidi a causa dei cambiamenti climatici e ci hanno incoraggiato a diffondere la voce nelle nostre comunità. La mia soluzione è stata scrivere questo libro.

Rise & Resist cover

Clare, una domanda che rivolgo a tutti i miei ospiti: pensi che possiamo già parlare di eco-à-porter? Ho chiamato così il mio blog perché lo spero …

Penso che ci stiamo arrivando, ma lentamente! Sempre più persone stanno passando alla moda sostenibile, tuttavia il vecchio sistema è ancora dominante. Lo sapevi che dei 100 miliardi di capi prodotti ogni anno, l’87% finisce in discarica o in inceneritore?

Sì, lo so Clare, che spreco! Un’ultima cosa ma non meno importante, hai il compito di ‘nominare’ l’ultimo ospite dell’anno! Chi sarà?

Nomino Maggie Marylin.

Bene! Ti ho visto indossare qualcosa di suo … E mi piace l’idea di avere un altro eco-designer come mio ospite. Quindi ci vediamo a dicembre con Maggie Marylin. Grazie mille Clare🙏🏻

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