Sostenibile è la moda che include e che non ha icone, perché ogni corpo è un’anima e ogni anima ha diritto di essere un corpo. Di donna, preferibilmente. Almeno secondo Denise Bonapace che proprio non ce la fa a pensare agli uomini quando crea. “Di quelli occupiamocene in privato” confessa. La moda, per questa poliedrica creativa, è donna, come la casa. Quella che lei ha tra le montagne di granito scuro intriso di acqua del ghiacciaio dell’Adamello e le candide vette delle Dolomiti del Brenta. Lì da generazioni vive la sua famiglia e lì torna pure lei appena può. Nella sua Itaca. Il resto del tempo lo passa tra Milano e New York, dove insegna e espone le proprie creazioni, che poi mette in vendita. Le sue collezioni sono insiemi di pezzi unici indefiniti; sono abiti, nel senso più pratico o filosofico del termine ma anche cose da abitare, dunque case, in cui ci si rifugia e attraverso cui si comunica.
Non si lascia etichettare Denise perché, dice lei, le etichette sono inutili e addirittura dannose. Comunque definirla sarebbe difficile. Progettista di formazione, laureata in industrial design, diventa consulente, insegnante, artista, stilista. Mette su un marchio che porta il suo nome e fa solo maglieria; perché, sottolinea, le maglie aprono nuovi orizzonti. “Si parte sempre da un filo, ma ci puoi creare cose sorprendenti“. E forse sanno pure un po’ di casa e saggezza, come le donne di tutte le forme che fotografa per i suoi progetti. “Senz’età“, ad esempio. Capi creati per corpi non più giovani che le hanno rivelato che a un certo punto della vita le maniche diventano troppo lunghe e non si trova più il posto dove tenere il fazzolettino che si vuole sempre avere a portata di naso. Ed ecco che la creatività si mette a servizio della persona. E magicamente una bolla di mohair seta all’estremità di una manica diventa contenitore o, srotolato, manicotto. Il vestito in questo modo diviene luogo da abitare. Questa è la rivoluzione che Denise insegue e insegna, al Fashion institute of Technology di New York e alla Nuova Accademia di Belle Arti di Milano (Naba).
“Le persone hanno dei bisogni e io col mio lavoro mi impegno per soddisfarli“. La moda, secondo Denise, deve mettersi al servizio delle persone, intese come “insieme di fisicità, pensieri, impulsi e desideri“, per creare un rapporto costante tra l’abito e il corpo che lo abita, un corpo che non deve avere più canoni ne misure, perché la bellezza è, come scriveva Eco, politeistica.
Una creativa a tutto tondo Denise Bonapace, che non guarda l’orologio, non segue trend e nemmeno scadenze, per questo le sue creazioni non sono mai fuori moda. Il suo sito è insieme una galleria d’arte e un diario personale pieno di pieghe e angoli nascosti. Finestre, armadi e corridoi, una casa appunto. Come le tasche degli abiti in cui ci invita a curiosare. I titoli delle sue numerose istallazioni raccontano già storie, quasi racconti fantastici dentro cui ciascuno si crea il proprio finale. E lo stesso accade per le sue creazioni, gli abiti trasformabili, che si adattano cioè alle esigenze di chi li indossa. Mai viceversa.
Il divenire è dunque alla base della filosofia artistica di Denise, che attraverso gli abiti parla. In maniera molto creativa. Vedi ad esempio la collezione di guanti ‘Mancanti’ o i tessuti che prendono vita assieme al corpo diventando bluse, casacche, abiti, cappelli. ‘Àmano’, ‘Àcapo’, ‘Il quadrato’. Gioca sulle forme e dà consigli d’uso, senza però dare ordini. Con un cappello ad esempio ci si può avvolgere le spalle.
La curiosità però non ruba spazio all’utilità, perché i capi creati da Denise sono sì forme d’arte ma rimangono al servizio della persona nella sua totalità, corpo e anima e nel suo rapporto con lo spazio circostante. E solo su questa strada la moda può avere un futuro, sostenibile.
Novella Di Paolo
PS: è un caso piacevole che questo articolo segua la recensione del libro ‘Ri-vestire’ di Cristiano Toraldo di Francia in cui si parla dell’abito che si fa dimora e che si plasma sul corpo e in base alle sue necessità.