Nel 2008 ho frequentato a Roma un corso di giornalismo ambientale; allora mi occupavo di moda già da qualche anno, mentre l’amore per la natura e gli animali e la propensione per le tematiche ambientali li avevo dentro di me, direi, da sempre, quindi a un certo punto del mio percorso professionale e formativo ho sentito l’esigenza di approfondire queste mie passioni, convogliandole nel lavoro.

Una delle lezioni previste dal corso riguardavano proprio l’eco-fashion e come insegnante abbiamo avuto Filippo Ricci, fondatore, insieme a Orsola de Castro, di ‘From Somewhere’, brand pioniere dell’upcycling che si opponeva allo spreco nella moda utilizzando per le proprie collezioni vecchi capi e rimanenze tessili reperiti nei magazzini di tutto il mondo. I capi che ci portò da visionare sono stati il primo vero contatto che ho avuto con la moda sostenibile (anche se portavo già da anni il vintage e il second hand) e soprattutto con l’upcycling, quindi gli sono stata infinitamente grata perché mi ha aperto un mondo.

E sono stata infinitamente grata a Sara Maino quando, nell’intervista del mese scorso, ha ‘nominato’ proprio Orsola de Castro, che non è soltanto fondatrice di ‘From Somewhere’ ma anche e soprattutto co-fondatrice, insieme a Carry Somers, di Fashion Revolution, che per noi è un po’ di casa, visto che ne siamo fedeli sostenitori e ne diffondiamo con piacere principi e pratiche.

Eccomi qui quindi con Orsola, cui chiedo subito di parlarmi di ‘From Somewhere’. Quando e come è nato?

‘From Somewhere’ nasce nel 1997 da un golf coi buchi; sì, avevo un golf bucato che mi volevo assolutamente mettere e avendo sempre lavorato all’uncinetto, ho preso l’uncinetto e ho rielaborato intorno a questi difetti valorizzandoli, quindi riportando qualcosa di morto o di semi-morto in vita. E il principio di ‘From Somewhere’ è stato più o meno sempre quello, che fossero pezzi usati, pezzi unici oppure grandi tonnellate di golf di cachemire o vestiti da casalinga, si è sempre basato sul concetto di rielaborare ciò che gli altri non volevano. Questo era lo spirito. Poi chiaramente il brand è cresciuto, abbiamo collaborato anche con grandi marchi, da Topshop a Speedo riutilizzando il loro invenduto, i loro stock e materiali ma appunto l’idea centrale è quella legata al desiderio di riutilizzare.

Un look dall’a/i 2002 di ‘From Somewhere’

Sì, ricordo la capsule in collaborazione con Speedo, magnifica! La fondazione di Fashion Revolution è stata sicuramente un’altra tappa fondamentale del tuo attivismo; come hai visto evolversi il movimento in questi anni e quali sono, a oggi, i risultati più importanti che avete ottenuto e che vi spingono ad andare avanti?

Fashion Revolution, nata nel 2013 come reazione alla catastrofe di Rana Plaza, è diventato negli anni il movimento di attivismo nella moda più grande al mondo. Al momento abbiamo una presenza in oltre 90 nazioni e almeno 30 di queste sviluppano campagne forti e originali. I sette anni che ci hanno visto crescere sono stati anni decisivi per quanto riguarda la moda sostenibile, con grandi cambiamenti di opinione ma soprattutto una maggiore consapevolezza da parte dei cittadini e dei brand. Fashion Revolution ha sempre affrontato un discorso sia ambientale sia sociale, perché le nostre risorse non vengano sfruttate tanto quanto le persone che le lavorano. In questi sette anni il principio su cui si basa il movimento è rimasto immutato, anzi, invito i tuoi lettori a leggere il nostro manifesto perché davvero concentra nei suoi dieci punti la nostra visione per una moda migliore.

Lo slogan più importante di Fashion Revolution: #whomademyclothes

Riguardo ai risultati, non mi sento di parlare di uno in particolare perché per me Fashion Revolution è il risultato, essere riuscita a co-fondare un movimento così importante è soddisfazione e fierezza insieme. Siamo un’organizzazione particolare che riesce ad avere un impatto sulla creatività e sulle aziende, il nostro Fashion Transparency Index è un tool importante per l’industria, mentre le fanzine sono molto creative, insomma gli aspetti sono tanti. Vado molto fiera del nostro approccio, della nostra comunicazione, del fatto che siamo pro-moda, non anti-moda e che siamo anche onesti, affrontiamo argomenti molto complessi cercando di dare più informazione possibile, affinché il pubblico possa imparare sempre di più. Perché la conoscenza è la fonte di tutti i cambiamenti.

Esatto. E la conoscenza dà anche libertà. So che dall’anno scorso collabori anche con IED Moda Milano con il progetto ‘Fa/Re – Being Cool is Nothing New’, basato sull’arte del riutilizzare e reinventare il vecchio per renderlo cool. Quali approcci e immaginari legati al riuso hai visto emergere tra gli studenti? E in generale, frequentando gli ambienti accademici, quali sono gli aspetti che i ragazzi prediligono nella creazione/produzione sostenibile?

Dagli studenti mi aspetto molto e molto ricevo. Riguardo all’upcycling e a tutta la parte di lavoro che si lega ai miei inizi, quindi a ‘From Somewhere’ e al riuso, credo che gli studenti di oggi lo capiscano più che mai, anche se devo dire che gli studenti di allora lo capivano altrettanto. La creatività è sempre limitata a ciò che ti sta intorno e al tempo che vivi, fa parte della nostra cultura, da sempre e per sempre, quindi è molto facile per loro, adesso, capire qual è il valore artistico e creativo di un oggetto o di un pezzo di stoffa abbandonato e del valore di riportarlo in uso. Ci sono alcuni materiali che si lavorano meglio di altri, come ha dimostrato il progetto ‘Fa/Re’ in cui abbiamo lavorato molto col denim, ma oltre ai materiali, è anche un modo per vedere il futuro, quindi il fatto di avere il minor impatto possibile e usare la propria creatività come un servizio, metterla a servizio di un’industria che da 30/40 anni non prende in considerazione il concetto di scarto.

La produzione di massa e la sovrapproduzione non ci dicono altro se non che si tratta di un’industria, quella della moda, che ha perso ormai qualsiasi efficienza, dal punto di vista di controllo delle proprie risorse, dei propri sprechi. Lavorare con il riutilizzo fa vincere tutte le battaglie, da un lato è creativamente stimolante, dall’altro sai che stai facendo qualcosa che ha un forte senso di utilità, di scopo. Gli studenti lo usano molto, è in crescita ed è auspicabile che si inserisca anche all’interno delle strutture della moda, nelle fabbriche e anche nei grandi marchi. Andrà sviluppato ulteriormente nel futuro, con il Covid che ha fatto ammassare tonnellate di merce nei magazzini e si dovrà pertanto trovare dei sistemi per rimettere questa merce in circolazione, piuttosto che incenerirla o buttarla in discarica.

Covid appunto. Considerando il periodo che stiamo vivendo, non posso evitare di chiederti come cambierà il sistema moda nel post Coronavirus e se la sostenibilità diventerà elemento imprescindibile.

Io non sono un’economista o una politica, quindi non posso prevedere certi cambiamenti ma posso dire che è talmente evidente che viviamo in un sistema dove la crescita regna suprema e per crescita non intendo prosperità. Quindi per me sarebbe da disinvestire nella crescita e da investire nella prosperità, sia sociale che ambientale. Credo che questo periodo legato all’emergenza Covid non abbia fatto che sottolineare quanto il nostro sistema sia disegnato per massimizzare i profitti e non per valorizzare le persone.

Orsola, ti ringrazio davvero per le tue parole, che sono sicura apprezzeranno anche i miei lettori. Come già sai, questa intervista funziona a nomination, quindi, ti chiedo chi sarà il mio prossimo ospite ‘sostenibile’ ?

Nomino Marina Spadafora, coordinatrice per l’Italia di Fashion Revolution, che ha appena fatto uscire il libro “La rivoluzione comincia dal tuo armadio”.

Marina è stata già nostra ospite ma la ri-ospitiamo volentieri, soprattutto perché siamo interessati a parlare del suo libro 🙂 Grazie Orsola.

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2 Commenti

  1. Sono un’ industrial designer “riciclata” in artigiana e autoproduco una linea ecosostenibile di accessori moda, capi e arredi. Condividendo quindi la sua mission sarei molto felice poter raccontare-divulgare il mio modus operandi sul suo “canale”. Buona giornata, Giulia di RICICLI.

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