eco-a-porter

Grazie Stella

0
Stella McCartney photo: Jaguar MENA

È probabile che per Stella McCartney, figlia di cotanto padre, non sia stato difficile come magari per altri designer farsi spazio nel business della moda ma le raccomandazioni servono a poco quando non c’è il talento; Stella di talento ne ha dimostrato parecchio fin dagli esordi, sia alla guida di marchi come Chloé, sia con la propria collezione, allontanando così lo spettro dell’invadente cognome e affermandosi con uno stile minimale, comodo ma capace di valorizzare il corpo delle donne e, cosa che in questo blog ci interessa maggiormente, 100% cruelty-free.

Cresciuta vegetariana in una fattoria biologica, Stella McCartney fin dagli esordi non ha mai ceduto all’utilizzo di pelle, pellami, piume o pelliccia per le sue creazioni e continua a farlo, sostituendogli materiali alternativi e innovativi prodotti tramite studi, ricerche e test che combinano fibre naturali e sintetiche. L’ultimo in ordine di tempo è stato un tessuto simile alla seta che la designer ha presentato nel backstage dell’ultima sfilata p/e 2018 a Parigi, sviluppato in partnership con la compagnia californiana Bolt Threads. E nella nuova collezione McCartney ha esteso per la prima volta l’uso della pelle veggie, finora utilizzata solo per scarpe e borse, anche agli abiti, tra cui un pantalone caramello con coulisse a chiudere l’orlo, così morbido e ampio da sembrare un track pant.

Stella McCartney S/S 2018
Ph. courtesy of www.showdetails.it

Si tratta dell’Eco Alter Nappa, materiale a base di poliestere riciclato e poliuretano (a base acquosa, quindi privo di solventi chimici) caratterizzato da un rivestimento realizzato per il 50% con olio vegetale, in modo da diminuire l’uso del petrolio.

Anche gli altri tessuti sono, o di derivazione biologica, come il cotone, usato poi anche per il jersey e il denim o ‘rigenerati’ come Re.Verso™, realizzato in Italia e ottenuto da scarti industriali non utilizzati, che sostituisce il cachemire, tanto prezioso quanto impattante dal punto di vista ambientale.

Stella McCartney S/S 2018
Ph. courtesy of www.showdetails.it

Consapevoli che la sostenibilità si basi su molti fattori e che ogni piccolo gesto faccia la differenza, Stella McCartney e il suo team considerano il proprio un viaggio che per certi aspetti è ancora all’inizio, un cammino fatto di piccoli passi capaci di rendere il marchio sempre più etico e responsabile, con il fine costante di restituire all’ambiente ciò che gli è stato sottratto e questo ad “ogni capo d’abbigliamento creato, negozio inaugurato e prodotto realizzato”.

A questo proposito McCartney ritiene che il modo migliore di creare una moda sostenibile sia di porsi domande sul come e dove viene realizzato un abito e con quali materiali e che “sta agli stilisti ora rinnovarsi cambiando la propria mentalità piuttosto che limitarsi a rinnovare un abito ad ogni stagione“.

Grazie Stella dunque, perché il vero talento è stato quello di aver messo il tuo ‘credo’ al servizio, sì, del lusso ma soprattutto di un’etica che rispetta animali e ambiente, aprendo la strada a una moda che dall’alto in basso diventa ogni stagione un poco più responsabile, sia per chi la produce che per chi la fruisce. E questo senza rinunciare alla bellezza.

La sostenibilità è sexy anche per Vogue!

0
Toni Maticevski's catwalk Photo: Peter Duhon

In questi scampoli di 2017 m’imbatto in un articolo di Emily Farra per Vogue.com che parla di come questo sia stato l’anno in cui la moda sostenibile è diventata sexy; ottima cosa che lo dica una delle riviste più autorevoli del mondo del fashion ma per paradosso forse lo fa perché, in generale, la sostenibilità è un argomento ormai sulla bocca di tutti e in tutti i settori, quindi un trend appetibile da non lasciarsi sfuggire.

Comunque sia è una bella notizia perché la moda è la seconda industria più inquinante al mondo, tra pesticidi utilizzati per le colture del cotone, acqua consumata a volontà, materiali sintetici che finiscono nelle discariche e milioni di abiti buttati ogni anno perché la fast fashion produce tanto ma spesso a bassa qualità e a scapito di chi quegli stessi abiti li confeziona nei laboratori tessili di Paesi come India e Cina.

Emily Farra cita, tra i pionieri della moda sostenibile, che hanno cominciato ben prima del 2017 a fare del proprio stile un fatto etico, Vivienne Westwood, Edun e Stella McCartney, a cui aggiunge il sempre impeccabile Tom Ford che nel settembre scorso ha ricevuto il Green Carpet Fashion Award come ‘Best International Designer supporting Made in Italy’ per aver migliorato le proprie pratiche di produzione etica e il suo supporto all’artigianato italiano, Gucci per aver annunciato, ad ottobre, il suo addio alle pellicce naturali a partire dalla prossima collezione (preceduto da Armani lo scorso anno) e tanti altri designer che hanno cominciato ad utilizzare faux-fur nelle proprie collezioni.

Nell’articolo vengono poi nominate anche le partnership tra brand e società hi-tech per la produzione di tessuti alternativi, ad esempio quella tra Stella McCartney e Bolt Threads di cui ho parlato nel post ‘La tela del ragno‘ per la realizzazione di un tessuto simile alla seta. E pare che molti scienziati, nel segreto dei loro laboratori, stiano modificando il DNA per creare “pelliccia senza l’animale, seta senza la larva e pelle senza il bovino” (sperando che non creino mostri!).

Vogue.com nomina naturalmente nomi illustri del settore, brand di altissima gamma e star che si sono votate alla causa ma il mondo è davvero pieno di marchi, già consolidati ed emergenti, anche di accessori e underwear, che fanno di etica e sostenibilità il loro credo, senza per questo sfilare in passerella o ricevere premi eccellenti (in oro etico però!).

Quando anche Vogue parlerà di loro mettendoli pure in copertina, forse potremo davvero dire che ‘la sostenibilità’ è sexy!

 

Q-Bottles Quagga, dress responsibly

0

E’sempre un piacere parlare di una realtà italiana che fa moda sostenibile, ancora di più se, oltre all’accurata ricerca e selezione dei materiali (e dei fornitori) e all’attenzione al contesto in cui essa viene prodotta, c’è anche il valore aggiunto del riciclo.

Quagga è un marchio ‘made in Italy’ (Piemonte) che esiste dal 2010, realizza abbigliamento outdoor altamente performante, conoscevo già le sue giacche tecniche dalle linee minimali ma ricche di dettagli, fatte di tessuti idrorepellenti e di ovatte termiche in fibra riciclata; di recente il brand ha lanciato una campagna di crowdfunding chiamata ‘Q-Bottles’, conclusasi con successo lo scorso ottobre. Il progetto consiste nella produzione di capospalla per l’autunno/inverno 2018/2019 realizzati con una fibra ricavata dal riciclo di bottiglie di plastica e trasformata in tessuto; da polimeri rinnovati, questa fibra si ottiene con un processo meccanico di filatura a caldo, senza l’uso di sostanze chimiche. Il tessuto ottenuto può avere la consistenza della seta o del cotone sottile, al tatto è morbido e si trova in versione opaca o lucida e, a fine vita del capo, può essere nuovamente riciclato, gettandolo nel cassonetto come fosse una bottiglia di plastica.

Quagga prepara così la sua prossima collezione invernale e manda contemporaneamente un segnale significativo legato all’importanza del riciclo, del rispetto dell’ambiente e dell’utilizzo delle certificazioni, fondamentali queste ultime per dimostrare che i materiali riciclati sono (ri)usati in modo cosciente e sicuro perché trattati appunto in aziende certificate, dove si eliminano tutte le sostanze potenzialmente dannose tramite tinture e finissaggi.

Last but not the least, Quagga si avvale anche della certificazione ‘Animal Free’, cioè che esclude il ricorso a componenti di origine animale. E non è un caso che il marchio si chiami come il mite equino simile alla zebra che popolava il Sudafrica fino a fine ‘800, estintosi perché cacciato sia per la qualità delle sue carni che del suo pellame ma riportato recentemente in vita in seguito ad un particolare procedimento di selezione chiamato breeding back, che ha permesso di ricrearne una specie analoga, poi reintrodotta nell’ambiente.

La tela del ragno

0
Spider web covered with dew drops

Tra le ragioni che mi hanno spinto ad aprire questo blog (Perché il blog) c’è la speranza, che in realtà propende maggiormente verso la convinzione, che moda ed etica creino sempre più sinergie in modo che in un futuro non troppo lontano si possa parlare di eco-à-porter. La direzione del settore pare proprio questa, anche secondo una fonte autorevole come il New York Times che, in un articolo uscito pochi giorni fa, parla dell’interesse crescente del mondo del fashion di alta gamma e dei marchi di sportswear verso l’utilizzo di tessuti riciclati e alternativi ricavati ad esempio dai funghi, dalle arance e dalla tela del ragno o meglio ispirati ad essa.In quest’ultimo caso è Stella McCartney, designer vegana da sempre impegnata in una moda cruelty-free e sostenibile, ad aver utilizzato un tipo di seta prodotta in laboratorio per due suoi outfit che ha presentato nel backstage dell’ultima collezione sfilata a Parigi lo scorso ottobre. Non testata ancora completamente, la fibra è stata sviluppata dalla Bolt Threads, società californiana che produce materiali alternativi dalle proteine presenti in natura, con cui McCartney ha firmato un accordo a lungo termine per l’utilizzo e l’ulteriore sviluppo della fibra che si chiama Microsilk.

Dopo aver studiato il DNA dei ragni e le loro tele, gli ingegneri della Bolt Threads hanno ricreato proteine ​​simili che sono state iniettate in lievito e zucchero e quindi sottoposte a un processo di fermentazione brevettato. La seta liquida risultante è stata poi trasformata in una fibra attraverso un processo di filatura a umido che ha permesso di ottenere filati poi lavorati a maglia nel tessuto.E perché proprio la tela del ragno? Perché questi Aracnidi producono fibre di seta con proprietà straordinarie tra cui l’alta resistenza alla trazione, l’elasticità, la durata e la morbidezza.Certo si tratta di un materiale ancora in fase di sviluppo, quindi la produzione iniziale continua ad essere limitata e i prodotti finiti, costosi; recentemente, sempre la Bolt Threads ha presentato una lotteria per vendere le sue prime cravatte di seta realizzate con la Microsilk a 314 dollari l’una. Ma come con qualsiasi nuova tecnologia, alle prime fasi seguono perfezionamenti e risultati che permettono di abbassare i costi e rendere i prodotti più accessibili. Sta poi a stilisti e CEO lungimiranti capirne la portata rivoluzionaria “riconoscendo che questi fantastici materiali di domani potrebbero essere qualcosa che la gente vuole comprare oggi”.

Quando si parla di eco-moda…

0
detail of an organic cotton plant

Non posso non inaugurare questo blog con il chiedermi che cosa si intende quando si parla di ‘eco-moda’; se ‘eco’ è l’abbreviazione di ‘ecologico’, quindi di ciò che protegge l’ambiente e il suo equilibrio naturale, l’eco-moda dovrebbe essere, è, una moda che ha lo stesso scopo, quello cioè di salvaguardare la natura e le sue risorse, evitando sprechi, anzi combattendoli. Come? Attraverso, ad esempio, l’utilizzo di materiali organici prodotti con sistemi a basso impatto ambientale, eliminando tessuti sintetici in poliestere e plastica, evitando di sfruttare e ammazzare animali per la loro pelle o pelliccia, valorizzando le pratiche di riciclo. Questo per quanto riguarda la tutela dell’ecosistema in senso stretto. Ma ‘eco-moda’ significa anche combattere lo schiavismo imperante legato allo sfruttamento della manodopera da parte dell’industria tessile per la produzione di capi low cost, affinché non accadano più tragedie come quella del Rana Plaza, l’edificio commerciale che ospitava laboratori tessili nel sub-distretto di Dacca, capitale del Bangladesh e che il 24 aprile 2013 crollò facendo 1129 vittime e 2515 feriti. Gli operai morti guadagnavano 38 euro al mese. Se questa non è schiavitù moderna…
Eco-moda quindi concepita come moda virtuosa che per le sue molteplici valenze può essere definita anche bio(logica), equo e solidale, del riciclo o del riutilizzo, dell’usato e slow design ovvero basata su pratiche e metodi tradizionali.
In questo blog cercherò di occuparmi di tutte le forme sopracitate e di coloro che se ne occupano, dai pionieri alle new entry, l’importante è che all’interno del loro credo stilistico ci siano attenzione all’ambiente e rispetto per i diritti dei lavoratori, oltre ad una buona dose di originalità e di est(etica).
E se voi, cari eco-follower che spero sarete sempre più numerosi, avrete consigli, dritte o semplicemente commenti da fare, prego, scrivete e interagite, con me e tra voi, in modo che, insieme, possiate e possiamo far parte di questa catena virtuosa che si chiama, appunto, eco-moda.

ULTIMI ARTICOLI