Di Federica Centore ho sentito parlare la prima volta quest’estate, ad agosto, da ‘La Marchigiana’ alias Daniela Diletti, di cui avevo seguito il seminario sulla realizzazione di un sandalo artigianale, poi trasformato in reportage per il blog.
Parlando di upcycling e di recupero di materiali e di vecchi abiti, Daniela mi aveva fatto appunto il nome di Federica Centore, che a Formia, provincia di Latina, mentre studiava lingue orientali, si è trovata a fare la costumista per caso e ha capito che cucire le piaceva di più che parlare cinese e giapponese. Così, dopo anni in cui si è occupata di vintage e upcycling, lavorando anche in diverse sartorie, ha dato vita al proprio progetto di sartoria sperimentale, che ha chiamato con il suo cognome, centore.
E allora non potevo non contattarla, Federica, e dedicarle un pezzo, anche perché, come sempre quando presento un nuovo designer, è venuta fuori una bella storia di passione, resilienza e anche di umiltà, che fa dire a Federica, quando risponde alla mia proposta di presentarla nel blog, “io al momento non ho neanche più il sito, neanche in costruzione, ho solo come riferimento Instagram e Facebook, lo so che è vergognoso, ma ho una figlia e altri lavori e sono sola a gestire tutto e guardando il tuo blog vedo che parli di brand molto ben strutturati e non so se io che sono così piccola vado bene”.
Certo Federica, vai benissimo! Anche noi siamo ‘piccoli’ e anche noi, anzi, dovrei dire anch’io, perché sono sola a fare tutto come te, condivido gli stessi tuoi valori e cerco di diffonderli, ragion per cui, ai marchi ‘più strutturati’ ne alterno altri piccoli e/o auto-prodotti, che forse, proprio per determinate caratteristiche, hanno un valore maggiore, squisitamente ‘amatoriale’.
E allora Federica mi dice che il suo “mood è antico, di quando si facevano le cose senza un mood”, da qui l’idea di dare il suo nome al progetto, senza tanti fronzoli e sognando un futuro come i grandi marchi che hanno iniziato con una piccola bottega a conduzione familiare, tipo Fendi, Gucci, Trussardi, ma anche come Donatella Rettore. Sì, perché i riferimenti pop per Federica sono immancabili, le vengono da una vena auto-ironica, dato che il suo laboratorio è per ora un semplice scaffale in un angolo di casa, smontabile e portatile perché da quando ha cominciato a cucire non c’è stato un anno in cui non abbia traslocato. Ma come tutte le cose preziose che si portano dietro in un trasloco, anche centore resta un punto fermo che prima o poi si stabilizzerà per ingrandirsi.
Il concetto del marchio è quello che si può produrre cose belle e indossabili anche partendo da vestiti che ci sono già. “Il mondo esplode di vestiti, dice la designer, c’è tantissimo materiale da poter sfruttare e il mio goal è quello di mostrarlo alle persone in modo che comincino a guardare ai vecchi vestiti come Possibilità, non come immondizia. Quando consegno un pezzo tutti si innamorano proprio dei dettagli lasciati dalla forma che il capo trasformato era, le persone si sentono parte di una storia e continuano a raccontarla indossando una ‘Camic’era’ o un pezzo unico ‘Rifatto da centore’. Per questo il 90% dei miei lavori è su commissione, mi piace la comunicazione con le persone, mi piace ascoltarle e capire di cosa hanno bisogno, mi piace coinvolgerle nella sfida, perché il risultato non è mai definito fin dall’inizio, ogni pezzo varia a seconda dal capo da cui si parte, soprattutto quando ‘upcyclo’ per un pezzo unico. C’è bisogno di una grande fiducia”.
Poi, continua Federica, “mi piacerebbe un giorno formare delle sarte col mio metodo per poter garantire un’offerta più ampia e più veloce, dato che al momento sono sola a gestire tutto e purtroppo cucire ha bisogno di tempo, ma nonostante le difficoltà vado sempre avanti e c’è una nicchia di persone che aspetta con pazienza ed entusiasmo e questo mi rende davvero orgogliosa, perché quello che offro sono i vestiti e gli accessori che ho iniziato a fare per me, per sentirmi bella e diva, ma anche comoda. Allo stesso tempo coi miei vestiti volevo comunicare la mia filosofia di vita del guardare oltre gli anni che ha un vestito (o un oggetto) e imparare a conoscere il Valore delle cose”.
Quando dieci anni fa la designer ha cominciato a realizzare le prime ‘Nekutie’, cioè le fasce ricavate dalle cravatte, l’ha fatto perché s’innamorava delle sete e le faceva male al cuore pensare che andassero buttate, c’era così tanto lavoro dietro: chi aveva pensato al pattern, chi prodotto la seta, chi l’aveva tessuta, chi ne aveva tagliato la forma, chi cucita a mano.
Federica racconta anche che quando recupera qualcosa di bello, le sembra di stringere le mani di chi ha lavorato prima di lei e spera che chi troverà una sua creazione tra 50 anni penserà la stessa cosa, perché qualcosa di bello è bello per sempre. Non crede di essersi inventata niente di nuovo, si è sempre usato quello che c’era per produrre, anche gli stessi materiali che usa sono molto comuni, ma è ciò che nasce dalla sua visione a essere nuovo, lei dice orgogliosamente che sono vecchie cravatte, vecchie camicie o vecchi abiti, “ma potrei anche non farlo, perché solo un occhio esperto saprebbe riconoscerlo, ma mi piace che le persone si sentano parte di questa community attenta al mondo anche tramite ciò che indossano”.