L’argomento di oggi è la prosecuzione ideale di ciò di cui abbiamo parlato nell’articolo di ‘riapertura’ del blog, dedicato al documentario di Silvia Gambi e Tommaso Santi ‘Stracci‘, sul percorso virtuoso che i ‘rifiuti’ tessili fanno per trasformarsi in nuovo filato in quel di Prato.

Perché tra le aziende pratesi che si occupano di rigenerazione dei tessuti c’è Filpucci, fondata nel 1967 da Leandro Gualtieri come Industria Filati Pucci, oggi diretta dal figlio Federico, che ho il piacere di avere come ospite per una chiacchierata sull’attività e i prodotti di una realtà che si è impegnata nella sostenibilità fin dall’inizio.

Federico Gualtieri, presidente di Filpucci

Federico, la vostra è una delle aziende storiche di Prato, conosciuta soprattutto per la produzione di filati di alta qualità e negli ultimi anni anche per la rigenerazione dei filati di lana e cachemire. Questo rappresenta un importante elemento legato alla sostenibilità, che praticate da quando avete aperto, nel 1967. Ma quali sono stati, negli anni, altri passi fatti su questo percorso?

Filpucci da sempre presta grande attenzione al tema della responsabilità e al processo di produzione; per noi la qualità è una cosa seria e un prodotto di qualità deve necessariamente seguire determinati criteri. Siamo impegnati nella costruzione di una strategia di sostenibilità da molti anni, ma l’abbiamo vissuto come un passaggio naturale e necessario, perché questo impegno rafforza i nostri valori. Adesso siamo impegnati sul tema della rigenerazione all’interno del progetto Re-Verso (supply chain integrata, trasparente, tracciabile e certificata di cui l’azienda è partner) che sta riscuotendo un interesse sempre maggiore da parte del mercato. Ma siamo anche dotati delle principali certificazioni dei materiali e misuriamo le nostre performance con l’indice Higg, standard per valutare la sostenibilità ambientale e sociale lungo tutta la catena di approvvigionamento. Per non parlare della tracciabilità: raccontare la storia dei nostri prodotti dalla fibra al gomitolo è per noi un motivo di vanto.

Sul vostro sito scrivete che “non si può parlare di sostenibilità se non c’è una seria misurazione degli impatti”; puoi fornirci qualche dato relativo all’impatto ambientale di un filato rigenerato paragonato a uno realizzato con materia prima vergine generica? Quali risparmi ci sono?

La misurazioni degli impatti è fondamentale per dare sostanza a una strategia di sostenibilità ed è soprattutto anche l’unico modo per impostare degli obiettivi di miglioramento. Per questo abbiamo effettuato una analisi Lyfe Cycle Assessment (LCA), sul ciclo di vita del prodotto, facendo una comparazione rispetto agli stessi prodotti realizzati con materiali vergini: siamo partiti dalle nostre collezioni più iconiche ed è emerso che c’è un risparmio di energia del 75%, di acqua del 98% e del 90% di CO2. Adesso abbiamo pensato di estendere l’analisi anche ad altri prodotti della collezione: è giusto che i clienti abbiano dati concreti per comprendere i risvolti positivi delle proprie scelte.

Direi una bella differenza! Ma siete coinvolti anche nell’arte contemporanea e nel design e collaborate spesso con artisti e designer, come è successo recentemente con Gucci. In cosa consiste la collaborazione? E che ruolo hanno i vostri filati?

Filpucci ha da sempre mostrato una grande attenzione nei confronti del mondo dell’arte e del design: per creare cose belle, dobbiamo nutrirci di bellezza. La collaborazione con i giovani designer è fondamentale per avere stimoli nuovi, perché da questi progetti riusciamo ad aprirci ai nuovi trend. Collaboriamo con Feel The Yarn, mettendo a disposizione i nostri filati per i progetti dei designer, collaboriamo con le scuole di moda, sosteniamo anche le iniziative di singoli creativi: ognuna di queste collaborazioni ci regala uno sguardo nuovo sul prodotto. E’ stata molto importante la collaborazione con Gucci Vault, una piattaforma creata dal brand e aperta ai giovani creativi, che ci ha dato la possibilità di collaborare con designer di alto livello: Gui Rosa e Rui Zhou hanno interpretato in maniera assolutamente originale i nostri materiali, dai mohair alle viscose.

A proposito di artisti, ho letto che nel 1983 Filpucci ha collaborato anche con Andy Warhol: cosa avete realizzato insieme?

Mio padre, Leandro Gualtieri, incontrò Andy Warhol a New York e gli chiese di realizzare per l’azienda un bozzetto che avrebbe potuto usare per le campagne pubblicitarie, la famosa rocca che ancora è visibile in azienda. Grazie a quell’incontro qualche mese dopo Warhol organizzò insieme a Filpucci una mostra a Milano dove vennero esposti i ritratti che l’artista aveva fatto agli stilisti più famosi dell’epoca: Krizia, Coveri, Armani, Valentino. Erano tempi diversi, ma la contaminazione tra il mondo della moda e l’arte è importante per l’evoluzione del prodotto.

Abbiamo parlato di passato, presente e futuro: cosa c’è nel vostro, soprattutto a livello di sostenibilità, oltre agli impegni già presi?

Il nostro obiettivo è di realizzare le nostre collezioni solo con materiali certificati e tracciati. Su alcuni materiali siamo già molto avanti, su altri ci stiamo lavorando, ma in ogni caso a oggi il 50% delle nostre collezioni sono realizzate con materiale certificato. Vogliamo anche lavorare sul tema del benessere aziendale: la nostra produzione viene fatta molto internamente, ma vogliamo che siano garantiti gli stessi standard anche alle aziende che fanno parte della nostra catena di fornitura. La condivisione di certe scelte è il modo migliore per andare avanti tutti insieme.

E mi sembrano ottime premesse e promesse. Grazie Federico, non solo della disponibilità ma anche per aver spiegato ai miei lettori cosa significa per un’azienda impegnarsi davvero nella sostenibilità, un lavoro complesso, lungo e articolato fatto di fasi e passaggi imprescindibili e importanti.

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