‘Fashioned from Nature’, modellato secondo natura

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Dettaglio di un abito del tardo '800 - © Victoria and Albert Museum, London

‘Fashioned from Nature’ è una mostra del Victoria and Albert Museum di Londra che è stata inaugurata il 21 aprile scorso, a ridosso della settimana della Fashion Revolution. Mi sono riproposta tante volte di parlarne ma c’era sempre qualcosa che mi portava a scrivere di altri argomenti.

Comunque non è mai troppo tardi, soprattutto perché la mostra dura fino al 27 gennaio 2019, quindi per chi avesse in progetto un viaggio a Londra, magari sotto le feste, ecco qualcosa che merita di essere visto.

‘Fashioned from Nature’ ripercorre la complessa relazione tra la moda e il mondo naturale a partire dal 1600, mostrando come essa si sia sempre ispirata alla bellezza e alla forza della natura. Contemporaneamente esplora come i processi della moda, con la conseguente costante richiesta di materie prime, danneggino l’ambiente, e come siano nati movimenti di protesta, come Fashion Revolution appunto, con lo scopo di sensibilizzare marchi, aziende, designer e opinione pubblica sulla necessità di un profondo cambiamento nelle pratiche di produzione, acquisto e consumo relative al settore.


Un momento della sfilata Detox organizzata da Greenpeace in Indonesia – © Greenpeace/ Hati Kecil Visuals


Più di 400 anni di storia della moda, insomma, che ci insegnano pratiche del passato recuperate poi dai designer contemporanei per le loro creazioni e che rivelano usi decorativi e materiali inusuali, spesso provenienti dal mondo animale (diciamo che ai tempi era concepibile, si usava ciò che era a disposizione, oggi non più N.d.a).

Natura musa ispiratrice come nel gilet da uomo datato 1780, sapientemente ricamato con un motivo di giocose scimmie macaco o come nella giacca da donna dei primi del 1600, ricamata con disegni di piselli e fiori.

La mostra introduce poi, in ordine cronologico, le principali fibre utilizzate nel 17° e 18° secolo ovvero seta, lino, lana e cotone, proseguendo con l’espansione del commercio internazionale e la conseguente importazione di materiali preziosi, cui sono seguiti materiali artificiali meno costosi che hanno avvicinato l’abbigliamento cosiddetto ‘alla moda’ alle masse contribuendo però a un considerevole e impattante inquinamento ambientale (ricordiamo che la moda è la seconda industria più inquinante al mondo dopo il petrolio).

T-shirt by Greenpeace anni ’90 – © Victoria and Albert Museum, London

Manifesti e abiti/slogan mostrano invece come i movimenti di protesta di cui accennavo prima abbiano contribuito a richiamare l’attenzione sul lato dannoso della moda, insieme a figure come Vivienne Westwood, pioniera della lotta contro i cambiamenti climatici e Katharine Hamnett.

La personalizzazione e il riutilizzo sono rappresentati da un abito vintage e una giacca di pelle realizzata con scarti di tessuto dalla designer londinese Katie Jones per la giornalista di moda Susie Lau da indossare durante la Fashion Revolution Week del 2015.


Katie Jones, 2017 Photograph by Rachel Mann


Ci sono i jeans che vengono prodotti con una quantità minima di acqua (ne abbiamo parlato, sono quelli della G-Star Raw), le creazioni di Stella McCartney, da sempre sostenitrice della moda vegana e cruelty-free e l’abito che Tiziano Guardini ha realizzato con un bio-materiale derivato dalle vinacce, cioè l’insieme dei semi e delle bucce dell’uva che si ricavano durante la produzione del vino e prodotto dalla start-up italiana Vegea.

E cosa dire dello splendido abito che l’attrice Emma Watson ha indossato al Met Gala 2016, un look Calvin Klein fatto con bottiglie di plastica riciclate composto da parti separate destinate ad essere riutilizzate in modi diversi. L’outfit rientrava nell’iniziativa ‘Green Carpet Challenge’ in collaborazione con Eco-Age, per accoppiare sostenibilità e glamour.


Emma Watson in CK -Photo by Dimitrios Kambouris/Getty Images


La mostra ha infine delle sezioni interattive; due installazioni presentate dal Centro per la moda sostenibile (CSF) del London College of Fashion esplorano ‘Fashion Now’ e ‘Fashion Future’. ‘Fashion Now’ prende cinque capi iconici contemporanei e tramite dei sensori invita i visitatori a esplorare l’impatto invisibile che realizzazione, uso e scarto di ogni pezzo hanno sulla natura, mentre ‘Fashion Future’ immerge gli spettatori nel mondo della moda del futuro, invitandoli a chiedersi che significato ha la moda e che sviluppi avrà nei prossimi decenni.

 

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