Il sipario si è chiuso da un paio di settimane ma lo spettacolo è appena iniziato. E’ stata un’edizione felice quella dell’Ethical Fashion Show, andata in scena a Berlino dal 16 al 18 gennaio scorsi. Anche grazie alla nuova location, la ex centrale termoelettrica Kraftwerk, che si trova proprio nel cuore della città, quella appena conclusa è stata, a detta dei partecipanti, una fiera della qualità.
Allo Show, la più importante esposizione internazionale di moda ecosostenibile, hanno preso parte più di 170 etichette da ben 26 Paesi, tutti insieme per dire che la moda sostenibile è una realtà sempre più solida. E variegata. Tre giorni di conferenze e discussioni che hanno svelato le novità del settore e posto le basi per nuovi dibattiti. Molte le innovazioni tecniche e le sperimentazioni sui materiali, ma anche slanci artistici e di design, con la presenza di giovani e soprattutto di tante donne.
Un settore che ha imparato ad andare incontro alle esigenze (sempre più…esigenti) dei clienti che, si sa, hanno sempre ragione. Ecco allora che l’intera filiera diventa trasparente perché, dicono gli organizzatori, gli acquirenti vogliono mettersi addosso solo roba certificata. “La gente vuole conoscere non solo i materiali, ma anche il processo lavorativo e soprattutto il suo impatto sociale e ambientale” afferma Anna, cofondatrice di Jan ‘n June, marchio di Amburgo che ha inventato una carta d’identità ecologica per ogni capo, da scansionare col cellulare.
Nei padiglioni del Kraftwerk la rappresentanza femminile è in netta maggioranza e anche questo è un dato. Donne, dunque, che creano per donne. Come le fondatrici di Frieda Sand, brand di Francoforte che già nel nome palesa una convinzione femminista, Frieda come Frieda Belinfante, violoncellista ebrea perseguitata dal nazismo e Sand come George Sand, scrittrice e antesignana sostenitrice della parità dei sessi. Una filosofia, quella delle stiliste tedesche, che punta più sul rispetto del lavoro umano che sulla sostenibilità dei materiali, tutti comunque certificati ed europei. Gli abiti, dallo stile sicuro e il taglio deciso, sono pensati per donne che camminano a testa alta e che sono sicure di sè, tanto da correre il rischio di apparire spavalde.
Opposto è invece l’effetto creato dalle collezioni di Me & May, che giocano sulla raffinatezza e sulla leggerezza senza però rinunciare all’attenzione al dettaglio. Dal 2011 Melissa Knorr e Mathilde Feuillet sono intente a tessere insieme nel loro atelier di Monaco la precisione della Germania e l’eleganza della Francia. E per farlo usano solo filati naturali prodotti e lavorati in Europa.
Da veterana del settore lo sa bene anche Claudia Lanius, sul mercato dal 1999 col marchio che porta il suo nome, che scegliere materie prime locali è il primo passo verso la sostenibilità, senza però rinunciare ad un tocco di esotico e innovazione. Lanius è un esempio di azienda che si fonda completamente sul concetto di sostenibilità; impossibile riassumere in poche righe la montagna di certificazioni di cui si fregia e le numerose collaborazioni di cui si avvale per ottenere prodotti eco-friendly dalla A alla Z. Tanti i materiali, dalla lana di alpaca alla canapa al legno di faggio, molti dei quali tradizionali, perché come sottolinea la fondatrice, il suo lavoro sta nel realizzare prodotti di qualità che rispettino l’ambiente e la dignità dei lavoratori, senza dimenticare che la moda è sempre la moda. Gli abiti devono anche fare bene alla autostima.
Tanto abbigliamento, quindi, ma anche accessori, quelli cioè presentati dai 40 espositori del Greenshowroom, la vetrina di eco-design che insieme all’Ethical Show è diventata ormai un appuntamento fisso nella settimana della moda berlinese. Stivali di mais, scarpe ricavate dai funghi e giacche imbottite con una pelliccia prodotta con il latte scartato dall’industria casearia hanno attirato l’attenzione della stampa, insieme a gioielli e borse realizzati con materiale riciclato.
E’ il caso delle calzature portoghesi di Nae Vegan, un marchio che racchiude in sè la sapienza manifatturiera di un’intera nazione. Le scarpe sono realizzate con i materiali più impensabili: bottiglie di plastica riciclate e airbag usati ma anche corteccia di querce portoghesi naturali al cento per cento e impermeabili. Caldissimi sono poi gli stivaletti fatti di foglie di ananas delle Filippine, un materiale sorprendentemente resistente e proveniente solo da coltivazioni certificate, dove le condizioni di lavoro rispettano le direttive internazionali.
Hanno storie da raccontare, invece, come conchiglie che parlano di mare, le borse di Huner, brand turco che dal 2016 crea accessori realizzati con vecchie vele usate. Una collezione di pezzi unici, tutti fatti a mano, come i coloratissimi mosaici di Istanbul, città dove la giovane designer Hüner Aldemir è nata e dove lavora per ridare vita a brandelli di stoffe che, a suo parere, hanno ancora tanto da dire.
Percorrere i padiglioni della ex centrale di Berlino è come fare un lungo viaggio tra Paesi e culture, a volte agli antipodi ma accomunate da una stesso sentimento: l’amore per la sostenibilità. Oggi va di moda il socialmente corretto. Questo è il mantra alla base dello show. Gli addetti ai lavori ci credono e fiere come questa hanno il compito di dirlo non solo ai cittadini ma anche alle istituzioni, perché eco-moda non vuol dire solo sfilate, ma anche consumo consapevole. E sostenibilità fa sempre più rima con correttezza etica in un’industria enorme che può davvero fare la differenza, non solo nell’impatto ambientale, ma anche in quello sociale: perché non dimentichiamoci che anche noi siamo natura e l’essere vivente va tutelato prima di tutto.
Novella Di Paolo