Con gli anni ho imparato, malgrado la mia impulsività e la mia impazienza, a dare il giusto tempo e peso alle cose, e non solo nell’accadere degli eventi, nei rapporti con le persone ma anche nel mio lavoro. Se, ad esempio, programmo una cosa che poi non va nel verso giusto, anzi, proprio l’opposto, cerco di pensare a quella cosa come al contenuto di un cassetto che va riordinato al momento opportuno e infine chiuso. Archiviato.

Tradotto significa che, per un’esperienza storta, lascio decantare, poi affronto, riordino e chiudo. Almeno ci provo.

Così ho fatto con la mia trasferta a Procida, che ormai risale a un mese fa abbondante, inizio novembre.

A Procida, che quest’anno è capitale italiana della cultura, si tiene, fino al 31 dicembre, una mostra dal titolo ‘Fili d’ombra, fili di luce’, che ripercorre il legame dell’isola con i tessuti, il lino in particolare, lavorati dai detenuti e dalle donne procidane.

Ero molto interessata a visitarla e a farne un reportage per due motivi: il primo perché inerente alle tematiche di cui tratto ovvero moda come artigianato, tradizione, anche tessile, ritmi lenti e così via. Il secondo perché, nella rubrica di eco-tessuti che curo per il mensile green Terra Nuova, ho scritto recentemente un articolo dedicato alla realtà delle sartorie sociali, tra cui Palingen, laboratorio nato all’interno della Casa Circondariale Femminile di Pozzuoli, dove lavorano detenute in cerca di riscatto. Qui imparano o approfondiscono il mestiere di sarte e si preparano a una nuova vita, a una seconda chance.

Le sarte del laboratorio sociale di Palingen

E’ così che si è sviluppata la partecipazione di Palingen all’ideazione di ‘Fili d’ombra, fili di luce’, con alcuni manufatti ideati dal gruppo di ricerca dell’Università della Campania Luigi Vanvitelli, confezionati dalle sarte del laboratorio del carcere e poi esposti nella mostra.

La mostra è stata allestita a Procida a Palazzo d’Avalos, costruito nel ‘500 e trasformato in carcere nell’800 fino alla sua dismissione nel 1988. Durante la detenzione, i prigionieri erano impegnati nella lavorazione del lino, che poi passava nelle mani delle isolane, che realizzavano corredi ancora oggi in uso. Un filo, rappresentato dal lino, collegava due mondi apparentemente lontani: il dentro e il fuori, il buio e la luce.

Una storia suggestiva che mi ha affascinata e convinta a un viaggio lungo, in cui ho investito tempo e denaro, per vedere con i miei occhi questo allestimento, per documentarlo attraverso un reportage che avrei volentieri condiviso con voi, proponendolo anche ad altre testate.

Ma io questa, anzi, quella mostra, non l’ho vista.

Mi sono ritrovata davanti a un cancello chiuso (quello della foto di copertina), senza alcun cartello che desse spiegazioni e, quando sono riuscita a parlare telefonicamente con l’organizzazione (perché l’ufficio stampa non aveva uno straccio di recapito telefonico e nessuno me lo poteva o voleva fornire, a oggi non mi è ancora dato saperlo) ho appreso che la chiusura era dovuta all’allerta meteo.

La spiegazione era dovuta al fatto che, essendo la sede della mostra un palazzo antico con spazi semi-aperti per sua natura strutturale, tipo finestroni o inferriate carcerarie, le opere esposte andavano tutelate in caso di maltempo.

Sinceramente sono rimasta basita. E mi sono posta una serie di domande, che ho rivolto anche all’organizzazione, ma che non hanno mai trovato risposta, perché ovviamente nessuno me l’ha data.

Mi sono soprattutto chiesta e ho chiesto: se la passata stagione estiva (la mostra è stata inaugurata a inizio estate nell’ambito del programma culturale di Procida capitale italiana della cultura 2022) fosse stata particolarmente piovosa o ventosa (che poi il vento nelle isole è frequente) quando e quanto sarebbe rimasta aperta la mostra? Probabilmente mai.

Altra domanda: se la natura strutturale del palazzo è appunto fatta di spazi semi-aperti e le opere devono essere tutelate, perché non si è provveduto ad allestire apposite protezioni?

E ancora: una parte dei fondi presi per Procida capitale italiana della cultura 2022, non poteva essere impiegata proprio per allestire spazi e/o situazioni che non dovessero costringere a chiudere ogni volta che ci fosse maltempo?

Se siete consapevoli che un palazzo è antico e fatto in un certo modo, prima di allestire una mostra, anzi 6, perché ‘Fili d’ombra, fili di luce’ era in compagnia di altre 5 esposizioni, oltretutto per un evento di carattere nazionale che attira visitatori da tutta Italia e dall’estero, magari un minimo di preparazione …

Oltretutto, mentre ragionavo davanti al cancello chiuso sul da farsi, non solo ho visto parecchi gruppi di turisti andarsene delusi (comitive venute apposta da ogni parte d’Italia, anche una perdita economica, diciamolo) ma ho sentito anche una turista che, avendo parlato poc’anzi al telefono con l’organizzazione, diceva che i motivi di chiusura per allerta meteo erano dovuti anche alla sicurezza dei visitatori, non solo delle opere.

Ecco.

Non vorrei dilungarmi oltre. Rischio di annoiarvi, forse. Ma ci tenevo, davvero mi premeva, raccontare questa esperienza molto negativa, che mi ha alquanto amareggiata.

Nessuna spiegazione, nessuna risposta ma soprattutto niente mostra.

Quei manufatti di lino che dovevano essere splendidi me li sono giusto immaginati.

Sono ripartita con mille domande e anche con quel peso che ultimamente sento più spesso per questo Paese che non sa valorizzare i propri talenti, che li spreca o li chiude dietro un cancello arrugginito, negando ricchezza, sapere, cultura.

Procida dal traghetto al ritorno

E per chi, magari, decidesse di andare a Procida prima della fine anno per visitarla, la mostra, consiglio di assicurarsi che non ci siano previsioni avverse, altrimenti sarete andati per niente.


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